Omelia (07-04-2003)
padre Lino Pedron
Commento su Giovanni 8, 1-11

L'inserzione di questo brano interrompe l'unità dei due atti drammatici, incentrati l'uno sulla messianicità di Gesù (Gv 7) e l'altro sulla sua divinità (Gv 8,12-57).

Il Cristo di Gv 8,1-11 appare molto più simile a quello dei sinottici, e in modo particolare al Gesù di Luca, che a quello del vangelo di Giovanni.

Gli scribi e i farisei nel loro cuore hanno già condannato la povera donna colta in fallo. La conducono da Gesù solo per tendergli un tranello. La legge giudaica è molto esplicita su questa materia: l'adultera deve morire. Ora, se Gesù assolve la peccatrice si mette contro la Legge e quindi si condanna da solo; se si mostra giudice severo si scredita davanti a tutti, rinnegando la sua dottrina su Dio clemente e misericordioso. La domanda degli scribi e dei farisei si rivela molto abile e astuta.

Gesù però non abbocca, ma, chinatosi, scriveva sulla terra col dito. Secondo alcuni esegeti, Gesù voleva ricordare simbolicamente Geremia 17,13: "Quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato la fonte di acqua viva, il Signore".

Forse Gesù, con il gesto di scrivere, ha voluto manifestare il suo desiderio di non intervenire o di non mostrare la sua indignazione per la loro ipocrisia.

"Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei". Questa risposta degna del Figlio di Dio per la saggezza, la semplicità e la profondità toglie agli avversari ogni argomento per condannare sia l'adultera, sia Gesù. Come può un peccatore infierire contro un altro peccatore?

L'espressione "scagli la prima pietra" ricorda Dt 13,10 dove si ordina che i testimoni oculari devono dare inizio all'esecuzione della condanna a morte.

Dopo una risposta tanto saggia, Gesù si china di nuovo per scrivere sulla terra. Questo gesto vuol porre i giudici dinanzi alle loro responsabilità e invitarli a una decisione sincera e libera. I presenti riconoscono di essere peccatori e se ne vanno. L'accenno ai più anziani vuole insinuare che costoro erano più assennati e capirono per primi la lezione. Forse c'è una constatazione salace: col crescere degli anni si accumulano anche i peccati.

In questo racconto c'è un'eco della storia di Susanna (Dn 13), nella quale gli anziani che tentarono di sedurre la donna sono presentati come uomini perversi, invecchiati nel male, pieni di peccati e di iniquità.

Eclissatisi gli accusatori, sulla scena rimangono solo Gesù e la donna. Ma il Figlio dell'uomo non è venuto per condannare, ma per salvare (cfr Gv 3,17). Dio non vuole la morte del peccatore, ma la sua conversione, perché viva felice (Ez 18,23; 33,11; Sap 11,23. 26).

L'esortazione a non peccare più era già stata rivolta anche all'infermo guarito presso la piscina di Betzaetà (cfr Gv 5,14): la misericordia e il perdono non minimizzano la gravità del peccato.

Questo brano contiene un dramma di squisita bellezza, nel quale sono posti a confronto una fragile creatura e l'unico uomo senza peccato. La povera peccatrice appare in tutta la miseria della sua colpa: non solo ha perso pubblicamente l'onore, ma sta per perdere anche la vita.

La drammaticità della scena è data soprattutto dal confronto tra la miseria della creatura e la santità del Cristo, che si manifesta misericordia infinita.

In antitesi con gli scribi e i farisei, spietati nell'applicare la legge di Mosè contro l'adultera, Gesù si manifesta come la misericordia incarnata e pronuncia un giudizio di assoluzione piena: "Neppure io ti condanno".

Sant'Agostino ha commentato la scena con una frase lapidaria: "Relicti sunt duo, misera et misericordia", "rimasero in due, la misera (donna) e la misericordia (Cristo).

Gesù non giudica nessuno (cfr Gv 8,15) perché è venuto a salvare l'umanità peccatrice (cfr Gv 3,17; 12,47). Egli è l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (cfr Gv 1,29; 4,42; 1Gv 4,14).