Omelia (01-11-2022) |
don Angelo Casati |
Impossibile? Possiamo fare! Giorno dei santi. La santità tra la visione dell'Apocalisse e le parole del monte. Ci rimane dapprima negli occhi la visione dell'Apocalisse, che sembra custodire anche un intento affettuoso, quello di liberarci dalla coltre che a volte ci offusca gli occhi. Sino a farci chiedere se saremo salvi o se la salvezza sia da dimenticare; se qualcuno la proteggerà per noi sino alla fine; se dunque vale la pena, dopo troppo sconcerto. La visione dice che la salvezza non sarà una bandiera strappata, perché "appartiene al nostro Dio e all'Agnello" e lo dice nel frastuono di giorni difficili. A proclamarlo non sono solo i figli di Israele, il grido sale da tutta la terra. Da tutta la terra a gridarlo a gran voce. Ascoltate: "Ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: "La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all'Agnello". E proprio a motivo di questa immensità, l'espressione "i santi" mi si sposa in modo quasi immediato all'espressione "i giusti". Liberando la parola santità da una visione ristretta, che spesso l'ha accompagnata, prima nelle Scritture sacre e poi nelle nostre tradizioni: santo come separato, separato dagli umani per essere di Dio, separato da un vero interesse per la vita terrena, la santità quasi a segnare una sorta di lontana immacolatezza. La santità quasi meta irraggiungibile, destino di pochi eroi dello spirito, ai più inaccessibile. Un rischio da cui mette in guardia, con parole sconfinatamente più luminose delle mie, uno scrittore e poeta, una delle voci più autorevoli della cultura cattolica contemporanea, il card. José Tolentino Mendonça, che scrive: "Spesso pensiamo che la santità vada cercata nella direzione opposta al peccato e alla debolezza. Ma cosa sarebbe allora la santità? Il contrario della mia vita. La santità, invece, non si trova in un luogo diverso dalla debolezza o dalla tentazione, ma proprio al loro interno. Essa non ci attende nel punto in cui superiamo la nostra debolezza; al contrario, è nel momento stesso in cui siamo deboli che ci troviamo vicini alla santità. La santità trasforma ogni istante, per opaco e difficile che sia, in opportunità". Scrive ancora. "La santità è anonima e senza clamore. La santità non è eroica: si esprime nel piccolo, nel quotidiano, nell'abituale. Il peccato è la banalità del male. La santità è la normalità del bene". Parole che mi riportano al monte delle beatitudini. Gesù era tra gente normale, osava quelle parole per gente comune. "Comune" è aggettivo a volte scolorito, ma ha un significato profondo, sta a significare ciò che riguarda tutti, un munus, una dignità che riguarda tutti. Dovremmo sentirci onorati di far parte della gente comune, non titolata, con il titolo condiviso da tutti. Era gente comune quella intorno a Gesù: la beatitudine, la felicità veniva sposata a gente come loro. E le parole, quelle parole, scesero dal monte negli occhi; e attraversarono terre, attraversarono i secoli. Stamane sono risuonate qui. Parole che sfiorano il paradosso, l'assurdo. A volte mi chiedo come può essere accaduto che nei secoli non siano state cancellate come improponibili, eliminate o soffocate nelle stagioni in cui a urlare, come oggi, sono ben altre parole. "Proposta impossibile o addirittura ingannevole!": direbbe a una prima reazione qualcuno. Poi pensi ai ragazzi che hanno scritto una frase ricca di fascino, hanno scritto: "Impossibile? Dunque possiamo fare". Possiamo fare le parole del monte. Noi, se ce ne rimane memoria, le parole del monte le abbiamo viste colorarsi nella vita delle persone più diverse, spesso nelle vite più silenziose. E oggi vorremmo ringraziare la gente comune. E in soccorso di gratitudine mi vengono parole di un altro scrittore poeta, Charles Singer, in un'ultima sua strofa di "Sorgenti trascurate": mi aiuta a legare giorno dei santi e giorno dei morti. Che brutta parola la parola "morti": cercare tra i morti coloro che vivono. E di per sé non certo bella la parola "defunto", uno che ha finito di operare. Ma vengo alla gratitudine: Grazie a voi, nostri cari defunti, persone preziose che aiutate i nostri cuori a rimanere aperti ai grandi orizzonti della vita, a voi che ci invitate a superare la barriera delle cose, a voi che stimolate la nostra capacità di ascolto e ci incoraggiate a vivere insieme, a voi che ci rassicurate per guardare il futuro senza paura. Ritorno al monte per una suggestione. Sarebbe prezioso che ognuno di noi, in giorni come questi, sfilasse dal racconto del vangelo, ma lentamente, ad una ad una, le beatitudini, per fare indugio. Per lasciarne poi una nel proprio cuore, quasi un motto che ti risuoni dentro con l'intervallo del cuore. L'arte di lasciare una parola che diventa motto... Pensate che anche il papa, papa Francesco, in questi giorni ricevendo i responsabili dei giovani di Azione cattolica, lasciò loro un motto. Stava loro dicendo che cosa è importante. Disse loro: "Questo è molto importante: imparare attraverso l'esperienza che nella Chiesa siamo tutti fratelli per il Battesimo; che tutti siamo protagonisti e responsabili; che abbiamo doni diversi e tutti per il bene della comunità; che la vita è vocazione, seguire Gesù; che la fede è un dono da donare, un dono da testimoniare. E poi, ancora: che il cristiano si interessa alla realtà sociale e dà il proprio contributo; state attenti che il nostro motto non è "me ne frego", ma "mi interessa!". State attenti, state attenti voi, che è più pericolosa di un cancro la malattia del menefreghismo tra i giovani, state attenti". Mi interessa, mi sta a cuore. Ebbene penso che a papa Francesco, citando il motto, si sia riaccesa nella memoria una povera scuola, sulle colline del Mugello - l'ha pure visitata! - dove un prete indimenticabile, che viveva di beatitudini del vangelo, don Lorenzo Milani, aveva fatto scrivere come motto sulle pareti della scuola - e non solo, penso, per i ragazzi della povera gente, per tutti noi -: "Mi sta a cuore". So di sconfinare: e se i santi fossero quelli che credono nel "mi sta a cuore"? Tutto mi sta a cuore. Contro ogni forma di menefreghismo. |