Omelia (08-12-2022) |
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COMMENTO ALLE LETTURE Commento a cura di don Eduard Patrascu Avvenga per me secondo la tua parola Il vangelo per la festa odierna, conosciuto come il "Vangelo dell'Annunciazione", è stato diverse volte occasione per riflessione/meditazione personale e/o comunitaria. L'episodio, infatti, offre moltissimi spunti di approfondimento come pure di implicazioni per la vita di fede, lo dimostrano i tanti commenti fatti dai tempi dei Padri della Chiesa che vi hanno visto tanti contenuti di teologia sia dogmatici (la concezione verginale del Figlio di Dio, la verginità di Maria) sia spirituali e di vita di fede concreta e impegnata. Senza tralasciare questi, e tanti altri contenuti emersi lungo la storia del cristianesimo, mi pare che il testo venga a confermare uno stile tipico di Dio nell'intera Bibbia nel relazionarsi alla persona umana di tutti i tempi. Anche se l'arte cristiana ha raffigurato quest'episodio fondamentale del Vangelo, con tanti dettagli di carattere straordinario (le ali dell'angelo, tanta luce folgorante, l'atteggiamento di Maria in una preghiera quasi liturgica, atteggiamento marcato da quel timore al cospetto delle teofanie spaventose della Bibbia), il testo, letto nella sua materialità, sembra suggerire un incontro segnato da molta semplicità e magari proprio per questo profondo motivo. Se guardiamo i diversi racconti di "chiamata" presenti nella Bibbia - ai quali l'Annunciazione può essere paragonato- si può notare facilmente che l'incontro tra il Dio biblico e i diversi chiamati avviene in un quadro di semplicità nella vita ordinaria. Come Abramo, durante un momento di contemplazione della natura, come Mosè mentre svolte il suo mestiere di pastore, come pure Saul, Samuele che dorme, i pescatori del Vangelo, Matteo - l'esattore delle tasse in pieno suo "operare", oppure Paolo durante il suo viaggio persecutore, per citarne solo alcune pagine. Lo si vede infatti molto bene anche al livello delle parole ed espressioni scelte dall'evangelista. L'episodio in causa è narrato da Luca incorniciato da un dettaglio temporale nonostante sia precisato ("nel sesto mese"), tuttavia vago: non sappiamo esattamente in quale giorno del sesto mese. Per cui, la scelta del linguaggio liturgico, "in quel tempo", è fatta probabilmente tenendo conto di questa sfumatura. Ad ogni modo, il tenore di tutta la scena si rivela piuttosto molto discreto, semplice: un incontro fatto non nel tempio, come era avvento con l'annuncio della nascita di Giovanni Battista; tra l'altro, anche questo coerente con la logica di cui stiamo parlando: Zaccaria era un sacerdote e riceva la notizia durante il suo normale operare da sacerdote, ma in un villaggio lontano, di periferia, durante un giorno qualsiasi, ad un ora non prevista, inattesa: siamo nella logica del kairos, del "momento propizio che avviene spontaneamente" ed in cui irrompe qualcosa di straordinario: si schiude il divino nella banalità umana. Ciò viene confermato poi sia dal dialogo che avviene tra il messaggero (il senso primario, profano, della parola "angelo") e la giovanissima Maria di Nazaret, come anche soprattutto la finale di questo incontro: sì, Maria riceva un messaggio inatteso, che stravolge la sua vita; e lei non lo riceve senza reagire, così come avverrebbe e come si dovrebbe fare davanti ad un messaggio chiaramente divino - dettaglio che conferma l'ordinarietà dell'incontro; il messaggero stesso ha un atteggiamento inusuale di grande rispetto nei confronti di Maria (si paragoni il dialogo dello stesso Gabriele con Zaccaria, dove il messaggero di Dio non tollera le reazioni del sacerdote, quasi a indicare che lui, l'Angelo, domina la scena e non accetta null'altro che l'ascolto e l'obbedienza); spiega a Maria la modalità - questa volta, sì, straordinaria - dell'intervento divino nella vicenda generativa del Figlio di Dio nel suo grembo, e poi scompare senza alcun elemento di straordinarietà. Letto in questa chiave, l'episodio schiude moltissimi spunti di riflessioni sulla vita semplice di ognuno, in qualsiasi periferia della vita ci si possa trovare. L'Annunciazione a Maria conferma che Dio ci visita soprattutto in quei luoghi ed in quei momenti che non crediamo così importanti se non addirittura trascurati da tutti. Lo ha sempre fatto, sin dall'inizio: lo conferma la prima lettura, nella vicenda di Adamo ed Eva, ricercati da Dio proprio nella loro condizione di "freschi" peccatori; lo fa anche la seconda lettura, la quale conferma la scelta che lo stesso Dio ha fatto nei confronti della sua creatura addirittura prima della creazione del mondo. Dio apprezza e valorizza quella banalità che non valorizziamo nel nostro campo di attenzione, ma lui lo fa nel momento favorevole e/o addirittura determinante, fondamentale per la nostra salvezza. Maria ha saputo valorizzare questa e tante altre banalità della sua vita ordinaria, e per questo le ha trasformate in straordinari momenti di incontro con Dio mediante anche i suoi messaggeri (persone, eventi, parole, coincidenze). È questo il motivo per cui lei rimane immacolata, concretizzando quel "beati i puri di cuore, perché vedranno Dio". Forse è questa la provocazione più profonda di questa festa, di questo brano evangelico: si diventa puri di cuore, immacolati, solo se si impara a scoprire Dio nella semplicità banale della vita ordinaria, quando si ha il coraggio di dire: "avvenga per me secondo la tua parola". |