Omelia (25-12-2005) |
mons. Vincenzo Paglia |
Vi annunzio una grande gioia "Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere" si dissero i pastori l'un l'altro dopo aver ascoltato l'annuncio dell'angelo. E partirono "senza indugio", senza frapporre lentezze e ritardi, come in genere facciamo noi quando ascoltiamo il Vangelo. Essi obbedirono senza aggiunte. In questo andare nella notte possiamo vedere il cammino stesso della nostra conversione. Il Natale è l'ora della conversione del cuore; è l'ora della rinascita. Un mistico cristiano diceva: "Nascesse Cristo mille volte a Betlemme, ma non nel tuo cuore, sei perduto in eterno". Ma come è possibile rinascere? È la stessa domanda di Nicodemo a Gesù. Anche lui, di notte, chiese: "Come può un uomo rinascere quando è vecchio?". La risposta è semplice: riaprendo il Vangelo. Sì, il Vangelo è come quel bambino avvolto in fasce che giace nella mangiatoia. Si potrebbe dire: com'è possibile che da quel bambino venga la salvezza? Com'è possibile che da quel piccolo libro vengano parole che cambiano il mondo? Il mistero del Natale è nascosto in questa debolezza. Il Vangelo è la luce che può cambiare i giorni, gli anni, i secoli che verranno. A Natale se ne ascolta la prima pagina, quella della nascita. Da essa possiamo iniziare a scrivere di nuovo la nostra vita. Ciascuno di noi, se sfoglierà pagina dopo pagina il piccolo libro del Vangelo, crescerà giorno dopo giorno come cresceva il bambino Gesù "in sapienza, età e grazia davanti a Dio e davanti agli uomini". E se noi rinasciamo, rinasce con noi anche il mondo. Il cambiamento del mondo inizia sempre da quello del proprio cuore. Per questo spiritualità e solidarietà sono profondamente connesse: conversione e cambiamento del mondo sono congiunte. Il cristiano sa che per salvare, deve farsi prima salvare; per aiutare, deve farsi prima aiutare. Non accontentiamoci perciò di essere come sempre, facendoci portare dalla corrente del conformismo e delle abitudini. Imitiamo i pastori, i quali lasciarono il proprio gregge, andarono verso la grotta, videro Gesù e in lui riconobbero Dio che aveva scelto di stare anzitutto con i più poveri. Quel bambino che giace in una mangiatoia libera il mondo da ogni schiavitù. È sceso dal cielo e si è fatto come noi per poterci stare vicino e dirci il suo amore. E se anche solo un poco ci lasciamo toccare il cuore sentiremo lo stesso stupore e la stessa gioia di quei pastori chiamati per primi a vivere questo incredibile mistero di amore. Il Natale è fare l'esperienza di quella gioia: sentire Dio accanto a noi. Talora abbiamo timore di questa gioia, perché ci spossessa dal nostro egocentrismo, perché ci fa alzare gli occhi da noi stessi, perché ci mette in comunione con gli altri e ci dà serenità. Noi, invece, crediamo di controllare la nostra vita con la tristezza. Quel bambino è la nostra gioia. L'evangelista continua dicendo che i pastori parlavano a tutti del bambino e quelli che li udivano si stupivano delle cose che dicevano. Se ci lasciamo coinvolgere dallo stesso stupore lo comunicheremo anche noi. La vita cristiana non è altro che uno stupore che si comunica e che si irradia. Si legge in un Vangelo apocrifo: "Chi si sarà stupito regnerà". Sì, con lo stupore vero e ingenuo del Natale, potremo convincere il cuore di tanti uomini e di tante donne in balía di una vita triste e rassegnata. La comunicazione del Vangelo è il cuore stesso della vita del credente e la radice dello stupore in chi ascolta. In questa scena evangelica del Natale possiamo vedere la prima immagine della Chiesa: una piccola comunità (Maria, Giuseppe e i pastori) raccolta attorno al bambino, che diviene immediatamente evangelizzatrice. Maria, la prima che racconta di Gesù ai pastori e "serba tutte queste cose meditandole nel suo cuore"; Giuseppe, che prese con sé il bambino e sua madre; i pastori, che comunicano la gioia di aver incontrato il salvatore. È l'icona che ci viene affidata per non dimenticare il grande dono del Natale. |