Omelia (25-12-2005) |
mons. Antonio Riboldi |
Nostalgia di un canto di angeli E' certamente la notte di Natale la più "bella" per tutti, anche per quelli che forse la vedono in modo distorto: la notte più bella della storia della umanità. E' il momento in cui Dio, per amore del suo popolo, che siamo noi, esprime il suo amore immenso di Padre, "tornando tra di noi con il dono del Figlio Gesù, l'Emmanuele, ossia Dio con noi". L'amore esplode in tutta la sua ampiezza, una ampiezza che conoscerà il suo apice nella sera del venerdì santo, sul Calvario, con la crocifissione che spalancò il Paradiso che si era chiuso per tutti dopo il peccato di Adamo. Allora, lusingato da Satana, il serpente, il più astuto degli animali, credette che la vita potesse essere bella, meravigliosa storia di felicità, senza la sorgente della felicità, Dio. E fu la lunga notte dell'uomo smarrito, senza più speranza, schiacciato dal dolore, che sembrava non avesse mai termine e toglieva la stessa ragione della vita. Chiediamocelo, carissimi, con quella sincerità che è un guardare con serenità alla verità, alla natura della nostra esistenza: "si può conoscere la vera bellezza della vita, privi dell'amore di Chi ci ha creati? di chi è il vero nostro Padre e quindi l'amore che crea noi "a misura di amore"? IgnorarLo è come trascorrere questo brano di esistenza come merce da marciapiede, senza dignità e scopo. Una brutta notte, questa, senza le stelle e senza il canto degli Angeli, che con infinita dolcezza riempiono tutto il creato con "Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Dio ama". Il racconto di quella notte Luca lo fa con la semplicità dell'amore che non ama enfasi, che si veste della "povertà" tipica del vero amore: perché la ricchezza dell'amore non è né nelle parole, né nelle creature, ma nella sua realtà, che è come "l'alito che Dio ispirò in noi creandoci". "In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò cha si facesse il censimento di tutta la terra...Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, da Nazareth salì alla città di Davide, Betlemme, per farsi registrare insieme a Maria sua sposa, che era incinta. Ora mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era per loro posto nell'albergo". Si rimane senza parole vedendo come, il Verbo, fatto uomo, abbia scelto di nascere nella più assoluta povertà: Lui che era davvero il Signore di tutto, "perché tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste" (Gv 1,1-5). Gesù, Figlio di Dio, ha scelto, facendosi uno di noi, di accollarsi tutto ciò che noi siamo; non solo le nostre miserie umane, ma anche le nostre infinite colpe, quelle che ogni giorno sbattono la porta in faccia al Padre, preferendo se stessi, per toglierle e quindi rivestirci della veste nuova di figli. Era davvero necessaria quella povertà, se il suo Natale, il suo farsi uno di noi, era entrare nei nostri panni e lavarli una volta per sempre. Davanti a questo immenso amore che viene offerto a me, a voi, si rimane stupefatti. Ma Dio ci vuole così tanto bene? Vuol così tanto bene a questa umanità che sembra a volte impazzita? a questa umanità che sembra a volte voler cancellare persino Dio dalla vita, preferendo la notte senza luce e canto? Affermava Paolo VI, in una sua omelia, nel Natale del 1955: "E' nato il Salvatore, è nato il Messia, Cristo Signore. Il Vangelo lo dice. Il quadro si allarga su sconfinati orizzonti: il Salvatore, il Messia. Qui c'è l'epilogo di tutta una filosofia, quella dell'uomo che ha bisogno di essere salvato, quella dell'uomo che non è sufficiente a se stesso. Qui c'è il centro di tutta una storia, anzi di tutta quanta la storia umana che trova nel Cristo il suo senso e la sua dignità, la sua legge e la sua speranza". E, come esprimendo la sua sofferenza, aggiunge: "Oggi questo termine "cristiano" sembra svigorito da quanti ancora lo usano per dare una generalissima ed estrema qualifica alla vita, alla cultura, alla civiltà...ma che cercano di dimenticarlo...Un Natale senza Cristo e un nome cristiano senza la fede in Cristo, sono irrisori alla Verità divina e alla intelligenza umana". Ma noi vorremmo oggi farci inondare dalla gioia del profeta Isaia: "Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia...Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della Pace" (Is 9, 2-7). Ma per entrare in questo clima di vera gioia, quella che ci viene dal sapere che Dio si è fatto vicino a noi, in noi, nelle nostre famiglie, ovunque, occorre voltare le spalle all'effimero del mondo, che il consumismo ha cucito addosso alla festa del Natale: una festa da cui ha come espulso Gesù, per fare posto ad altro, che a volte è il rifiuto a dare albergo al Natale. Usciamo dalle nostre città, che hanno creduto di illuderci illuminandoci di luci e stelle, che accontentano la fantasia, ma lasciano vuoto il cuore. Non abbiamo paura di affrontare il buio della notte, guidati dal canto degli Angeli, portando con noi la nostra povertà ed il bisogno di qualcuno che ci voglia veramente bene, come i pastori, ed entriamo in quella semplice grotta per ritrovare e stare con Dio, fatto uomo, assieme a Maria e Giuseppe. Se restiamo nel finto Natale della città, non sapremo mai cosa voglia dire la gioia immensa che provarono i pastori e quanti hanno seguito il loro esempio. Torneremo nelle nostre case e sarà ben grande l'amore ritrovato. Sarà il vero Natale. Quello che vivevo da piccolo in famiglia, da povero. Era bella la notte, in Chiesa, a vedere nascere Gesù e poi con gioia tornare a continuare questa gioia in famiglia...magari con un boccone di panettone e niente altro. I nostri padri, sempre, come a vivere un eterno Natale, a tavola lasciavano un posto libero: quello riservato a Gesù, pregando: "Vieni, Signore Gesù!". Ed era grande festa. E perché anche noi a Natale, come ogni giorno, non lasciamo un posto libero per Gesù, che ancora una volta conosce il rifiuto degli uomini ed è costretto a nascere in una mangiatoia? E' un atto di amore che altro non è che un Natale che si moltiplica. Sono tanti i fratelli che non sanno cosa sia la gioia: il Natale. La gioia non la si comunica con le parole, ma con l'amore. Quante volte ho visto sorridere di una gioia che sembra uscita dagli occhi di Gesù, facendo posto al povero, a chi soffre, a chi ha bisogno di chi veramente si faccia vicino a lui e lo ami. Non è tanto ciò che si dona, ma sentirsi amati, quello che fa Natale in chi non sa più cosa sia Natale, perché la vita si è fatta buia. Buon Natale, carissimi tutti. Sarei felice di potervi raggiungere ovunque siete in tutto il mondo (perché sono tanti nel mondo che vengono raggiunti da questa riflessione). Vorrei per un momento stare in silenzio con voi e chiedere a Gesù il dono della pace e della gioia; dirvi tutta l'amicizia che ci lega, ed assicurarvi che quella notte santa sarete tutti vicini a me, nel cuore della mia preghiera, chiedendo a Gesù in dono la gioia data ai Pastori, ai Santi. Buon Natale di vero cuore e permettetemi un grande bacio a tutti. Dono a tutti un pensiero di Paolo VI, a me e a voi tanto caro Maestro di fede, vero innamorato di Gesù. "Il Natale è questo arrivo del Verbo di Dio fatto uomo per noi. Ciascuno può dire: "per me". Il Natale è questo prodigio. Il Natale è questa meraviglia. Il Natale è questa gioia. Ritornano alle labbra le parole di Pasca1: Gioia, gioia, gioia: pianti di gioia!! Oh! Davvero questa celebrazione del Natale di Cristo sia per tutti una sorgente di inestimabile serenità!" (Paolo VI). |