Omelia (06-01-2006)
padre Gian Franco Scarpitta
Dall?incarnazione al suo annuncio silente...

Se il giorno di Natale ci immedesima nell'umiltà di Dio che si rende Bambino e ci fa' affascinare del Mistero che dopo secoli di occultamento viene svelato all'uomo da parte di un Dio talmente grande che è capace di farsi piccolo nell'Epifania avviene che tale evento di annichilimento e di spoliazione viene reso manifesto a tutta l'umanità, a partire da quelle stratificazioni sociali considerate meschine perché povere, insignificanti, peccatrici. Una volta incarnatosi, il figlio di Dio insomma si mostra a tutti, specialmente agli ultimi. Non per niente sarebbe cosa congeniale non separare la presente celebrazione da quella natalizia propriamente detta, a cui abbiamo partecipato lo scorso 25 Dicembre; e infatti l'Epifania formava nella Chiesa delle origini un corpo unico con la celebrazione del Natale, sicché le due Solennità occupavano una sola giornata. Con il decorrere dei secoli si decise di trasferire l'odierna liturgia al 6 Gennaio, non senza sottolineare tuttavia che essa è comunque parte integrante dell'intero Tempo di Natale (che si chiude appunto oggi) perché il Verbo di Dio che si è fatto carne è lo stesso che dalla grotta di Betlemme comincia a rendere manifesto il suo splendore e ad attirare una moltitudine di gente proveniente da ogni luogo, il che significa che Egli si è incarnato per la salvezza di tutti e per apportare tale messaggio di speranza a quanti ne aspettavano la preconizzazione come per esempio i pastori, fino ad allora considerati i reietti dalla società dell'epoca perché incapaci di leggere la Scrittura pertanto impossibilitati a metterla in pratica: colpevoli di essere soltanto pressocché analfabeti non essendo in grado di incontrare il Signore nella Legge di Mosè, essi non potevano aspirare ad alcun merito divino né potevano essere considerati fra i giusti di Israele. Ora, è proprio a loro che viene annunciata la lieta notizia contestualmente alla pressante esortazione a recarsi nella mangiatoia ("Troverete un Bambino avvolto in fasce") sicché proprio loro, primi fra tutti, sono resi i primi beneficiari della salvezza operata da Dio che si incarna.

Per non parlare poi dei cosiddetti Magi. Essi, che la tradizione della pietà popolare vuole che siano tre, mentre Matteo li cita solo come "alcuni", costituiscono quella categoria di miscredenti in forza delle asserzioni della sola scienza empirica: si tratta infatti non di operatori di magie o di prestigiatori, ma di osservatori degli astri che amavano interpretare gli eventi della natura sulla base posizione delle stelle, quali potremmo definire oggi i nostri fautori di oroscopi e in tutti i casi scienziati intenti ad osservare il cielo, reale e degno di fede solo l'esperibile e non il Trascendente. In parole povere, scienziati non credenti. Essi non avrebbero mai riposto la loro fede in alcun Dio personale e avevano sempre mantenuto un serio distacco da qualsiasi riferimento alla Rivelazione o alla manifestazione del Divino. Eppure, proprio loro si mettono in viaggio da Oriente percorrendo chilometri e chilometri di strada affrontando intemperie, rischi, pericoli di predoni o di altre trappole, fuggendo ad insidie certe ed evidenti e sottomettendosi volentieri alle scomodità che un lungo viaggio poteva comportare (Siamo in tempi ben diversi dal nostro); e questo non per porre delle obiezioni congetturali ad un evento comunque insolito quale quello della grotta di Betlemme, né per smentire attraverso digressioni astronomiche la portata miracolistica dell'Incarnazione, quanto piuttosto... per prostrarsi e adorare il Bambino! Se prestiamo poi attenzione all'atteggiamento di questi soggetti noteremo anche la scelta del tutto singolare ed espressiva dei doni che essi depongono ai piedi del Fanciullo: 1) oro, che esprime la regalità e sottolinea pertanto la fede nel Dio Re; 2)incenso, con cui tutte le religioni venerano la divinità, e quindi atto a riconoscere nel Fanciullo il vero Dio; 3)mirra, elemento comune per imbalsamare i cadaveri e quindi allusivo al fatto che lo stesso Fanciullo Dio e Re per nostra causa dovrà morire.... Atei indifferentisti che giungono da Oriente ad inginocchiarsi per rendere omaggio al Bimbo divino! Certamente devono essere stati di esempio per quanti all'epoca stimavano la propria fede nel Dio di Israele fondata e convinta, senza accorgersi in realtà di quanto fosse lacunosa e per nulla coltivata, come quella di noi cristiani del XXI secolo ormai avvinti dalla routine delle celebrazioni liturgiche o di altri pratiche religiose che siamo molto spesso soliti seguire solo per mera abitudine, senza attribuire un senso alla loro prassi e soprattutto senza che esse apportino una reale novità nella nostra vita e nel nostro spirito: siamo davvero convinti che il mistero del Natale è affascinante e che assume la sua carica di importanza per noi? Ci lasciamo avvincere dal fascino della grotta di Betlemme e del Bambino Dio creatore del mondo che viene a salvarci? Di fronte alla contemplazione del Mistero di Dio ci sentiamo spronati ad improntare il nostro atteggiamento in ordine alla fede, alla speranza e alla carità operosa? Non si può negare che alla pari di questi astronomi non credenti si riscontrano ancora oggi moltissime persone che, lontane per tanti anni dal cristianesimo, vi approdano finalmente non senza vergogna mostrandosi però palese esempio di fedeltà, rettitudine e di carità per quanti il cristianesimo presumono di viverlo da decenni, il che non può non scuoterci nella verifica e messa in discussione della nostra fede e soprattutto non può non incentivarci nella ricerca dell'autenticità della nostra fede, che consiste nella carità operosa e nell'amore al prossimo privo di riserve e ritrosie: Dio viene a trovarci e si rende manifesto nella piccolezza per poi comunicarci la grandezza del suo amore e del suo perdono esige che da parte nostra gli si risponda con l'adesione del cuore e la sottomissione della nostra volontà che è appunto la fede, ma soprattutto attraverso la realizzazione effettiva di quella che è la pienezza della sua Legge e il compendio di tutti Comandamenti, cioè l'amore al prossimo, che ci rende davvero credibili nel contesto della vita di tutti i giorni.
Nell'Epifania quindi avviene che Dio oltre che raggiungerci fino ad abbracciare la più meschina delle condizioni umane, manifesta se stesso e la sua volontà di salvarci in primo luogo
dando segni della sua presenza che interpellano la nostra vita invitandoci ad uscire dai nostri ambiti per aderire a lui in ogni cosa: nella gioia e nel dolore come anche in tutte le situazioni felici e avverse del quotidiano Dio intende accompagnarci e garantire la sua presenza; a noi l'essere capaci di riscontro pronto fiducioso e attivo all'insegna dell'operosità nel bene che è cosa irrinunciabile. Specialmente quando poi a manifestare il suo amore è Dio che si è fatto Bambino che senza parlare e nella sua incapacità di argomentazioni elucubrative sa già ricondurci verso di sé chiedendoci soltanto la semplicità e la prontezza della fede quale adesione al suo fascino nell'incanto della grotta. E neppure è da considerarsi la paura e lo smarrimento di essere peccatori, se è vero che il Fanciullo ha voluto recare se stesso soprattutto a quanti versano nelle viscere desolate dell'errore e del peccato incespicando nelle false sicurezze e nelle illusioni di se stessi; Egli ha voluto riscattare proprio i peccatori, coloro che soffrono la frustrazione dell'abbandono e la pena della solitudine voluta dallo stesso persistere nella lontananza da Dio e quindi proprio perché peccatori alla ricerca di un orientamento occorre che ci affasciniamo di Lui nella disinvolta fiducia...