Omelia (01-01-2006)
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* "Questa volta, lo tengo" disse la giovane Erika, stupita lei stessa, scoprendosi incinta; non erano le luminarie dell'entrata nel terzo millennio a far chiaro nella sua anima. E nemmeno, a dire il vero, le condizioni esistenziali durissime per cui aveva rifiutato l'altro erano magicamente mutate. Da quando si era sorpresa per quella nascita, otto giorni prima, si era sentita portare nel mistero del Natale: un "Bambino nato per noi" era qualcosa di già udito da vent'anni, eppure solo adesso aveva ascoltato l'annuncio angelico dato ai pastori, i quali "senza indugio" erano andati a verificare il segno che era nato il Salvatore, il Santo di Israele. Sì, a portarla presso il bambino erano stati i pastori, nel senso reale del termine: aveva finalmente capito che i pastori scelti dagli angeli erano stati dei "poco di buono", ritenuti impuri, ladroni e briganti nelle loro scorrerie, come a dire: proprio come lei, ladra di una vita che le era fiorita nell'utero, cui lei aveva detto di no, per sempre.

* Corresponsabile il suo lui, certo, che di fronte alla sua agitazione e alla sua angoscia aveva vigliaccamente scelto con lei la via più facile (oh, sembrava più facile, ora si accorgeva che era molto, molto più difficile quel no da portar dentro!) e non aveva avuto fede in lei, nella sua maternità. Ma per lei, Erika, ora era divenuto chiaro come l'alba del terzo millennio, un'alba irripetibile, che era donata proprio a lei e a tutti quelli (pastori come lei!) che osavano sostare presso il Bambino: la salvezza era il riscatto dal peccato e dalla lontananza da Dio. Ecco perché la fretta dei pastori: qualcuno dal cielo nella notte aveva detto loro: "è nato il Salvatore"; non bisognava forse fare in fretta, correre, cercare, compromettersi? Il segno aveva detto l'angelo – è "un bambino avvolto in fasce". Ma, quando arrivano alla mangiatoia, trovano l'intera famiglia "Maria e Giuseppe e il bambino"; forse sarebbe stato più magico per loro trovare solo il Bambino, caduto lì dal cielo in una mangiatoia, un Dio che aveva fatto la magia di nascondersi in un Bambino. Eppure questa presenza di famiglia era un segno vero, di quelli con i piedi per terra, gli unici che ci vengono dati nel nostro vivere quotidiano.

* E allora i pastori parlarono "dopo averlo visto", dice il testo di Luca: hanno puntato gli occhi su di lui, il Bambino vero di una famiglia vera. Sono gli unici che parlano in questa misteriosa e silenziosa notte, sono gli unici che osano penetrare nel mistero di quello straordinario neonato. E narrano: come e perché sono arrivati fin lì, la luce che li ha avvolti e il canto, il canto mai udito prima che aveva dato un senso al loro correre, anzi al loro vivere: "Non siete più soli, non dovete più avere paura, poiché Dio ama gli uomini, è dalla loro parte, a tal punto che è incarnato in un Bambino".

* Si poteva forse muoversi adagio verso un tale segno? Non bisognava abbattere in fretta le proprie diffidenze, le proprie paure, i propri calcoli, perfino i propri peccati? Andare, correre dal Bambino diventa il senso della vita: poiché Egli è lì a dire che ciascuno di noi può cominciare da capo, può nascere di nuovo, può finalmente lasciarsi sorprendere dal fatto che non c'è niente di irrimediabile. "Hai visto il Bambino?", diventa il vero augurio da terzo millennio: auguriamoci di vederlo, finalmente, dentro la famiglia, dentro la storia, dentro il non previsto anche dolorosissimo, che ci fa glorificare Dio, proprio come i pastori. E auguriamoci di fare come la Madre che "conservava tutte queste cose nel suo cuore", compito e gioia propriamente materni. Per non dimenticare.

Commento a cura di M. Zattoni – G. Gillini; da: Interno familiare secondo Marco, San Paolo