Omelia (01-01-2006) |
Paolo Curtaz |
Mettere insieme i pezzi A Betlemme il nostro sguardo si posa su Maria e Giuseppe e il loro neonato primogenito. E' stata una settimana faticosa: il tumulto della notte del parto, la visita inattesa e piena di stupore dei pastori, la fatica dell'avere un neonato che, pur essendo la presenza stessa di Dio, viene allattato e cambiato come tutti i neonati del mondo. Ecco Dio, dicevamo. Inatteso, stupefacente, diverso, inquietante nella sua disarmante fragilità, donato. Ecco Dio, ci ripetiamo da una settimana intera, quasi scrollandoci la sensazione di intorpidimento che ci ha dato la festa natalizia. Rimessi negli armadi i panni di Babbo Natale, digerite le troppo luculliane pietanze, superato il dolore devastante di chi vive da solo (e male) ogni Natale, lasciamo spazio alla teologia, mettiamo da parte emozioni e tradizione e riappropriamoci della fede. Dicevamo Dicevamo che Natale è uno schiaffo pacifico ai nostri pregiudizi e alle nostre convinzioni, che, preso sul serio, ci scomoda e ci obbliga a riflettere. Siamo convinti che Dio non ci sia, che sia il grande assente della nostra modernità, che il ritmo forsennato che abbiamo preso (ci hanno imposto?) non da spazio all'interiorità; davanti ai grandi drammi della natura siamo sempre pronti a far salire sul banco degli imputati Dio (ricordate lo Tsunami?) e scivoliamo sulle eventuali responsabilità degli uomini (violenza e guerra sono opera nostra!). Natale, invece, dice che non è Dio ad essere assente, ma che è l'uomo il grande assente della Storia. Eterno adolescente, come Adamo che si nasconde da Dio che lo cerca, l'uomo fugge l'inquietudine per non mettersi in gioco: la luce viene nelle tenebre ma i suoi non l'hanno accolta... Siamo convinti che Dio c'è ed è strano, inaccessibile, incomprensibile. Che è meglio tenerselo buono, semmai ne avessimo bisogno e, quando ne abbiamo bisogno, chiediamo e invochiamo e imploriamo per avere una grazia, un favore; Lui che è Onnipotente potrebbe (dovrebbe!) ascoltare noi suoi figli, noi devoti. Natale, invece, dice che Dio diventa fragile, che chiede, invece di donare, che elemosina, invece di elargire che, per amore, annienta se stesso, si umilia abbandonando la sua divinità perché noi possiamo (un poco) sperimentare la divinità. (Ribadisco quanto dico davanti al crocefisso: ma voi lo volete davvero un Dio così?). Siamo convinti che Dio sia nelle cose del cielo, nei momenti forti, nei luoghi sacri, nelle lunghe celebrazioni (talora noiosette), nelle settimane di ritiro, nelle messe domenicali. E ci lamentiamo di non potere, di non avere il tempo, di non riuscire, i monaci loro sì, beati, i santi loro sì, ma noi povericristi... (Confessando una mamma che, giustamente, si lamentava con due bimbi piccoli di non avere più voglia ed energia per pregare la invitavo a guardare Maria e Giuseppe: per loro è stato un pessimo Natale!). Natale, invece, ci parla dell'incarnazione di Dio, del fatto che, facendosi uomo, Dio riempie di santità ogni frammento di vita, dallo straccio per lavare i pavimenti, alla mano unta del meccanico, allo sforzo ripetitivo dell'operaio in fabbrica. Non esistono più luoghi e tempi sacri. Esiste un luogo e un tempo santo: la mia vita, quella che Dio sceglie di abitare. Per accorgerci di questa trasfigurazione abbiamo bisogno di silenzio e preghiera (che serve sempre e soltanto se cambia il mio sguardo sulla vita) come fa Maria la bella. Mettere insieme i pezzi Luca dice che Maria serbava nel cuore tutti questi eventi, mettendo insieme i pezzi. Iniziando questo anno nuovo (mi spiace per gli astrologhi ma sarà molto simile a quello appena passato!) la liturgia ci dice di imitare Maria, di dedicare del tempo al 'dentro', di accorgerci di Dio. Manca un centro nella nostra vita, siamo travolti dalla vita vissuta. Come il bucato ammucchiato nella bacinella, ci serve un filo a cui appendere tutte le cose ad asciugare. Questo centro unificatore che è la fede ci è prezioso, indispensabile. Perché non assumerci l'impegno in questo duemilasei che inizia, di ripartire da Dio, di mettere l'ascolto della Parola e la meditazione al centro della nostra giornata? Solo così ci accorgeremo che Dio ci sorride. 'Far splendere il volto', è uno splendido semitismo che indica il sorriso di una persona, Quando sorridiamo il nostro volto si illumina. Questo vi auguro, cordialmente, amici lettori: qualunque cosa accada in questi mesi, che possiate cogliere il volto sorridente di Dio. Dio sorride, ovvio. Chi ama, anche nelle avversità, sorride. Il volto di Dio sorridente ci viene svelato dal neonato Gesù. Dio sorride, non è imbronciato, né impenetrabile, né scostante, né innervosito, macché. Dio sorride, sempre. Il problema, semmai, sono io. Nei momenti di fatica e di dolore non guardo verso Dio, sono travolto dall'emozione, non riconosco in Dio nessun sorriso. Non aspettatevi che Dio vi risolva i problemi, né che che vi appiani la vita o ve la semplifichi. La vita è mistero e come tale va accolta e rispettata. Ma se Dio vi sorride, sempre, significa che esiste un trucco che non vedo, una ragione che ignoro, e allora mi fido. Qualunque succeda nella tua vita, quest'anno, che Dio ti sorrida, fratello, sorella. |