Omelia (06-04-2023) |
don Michele Cerutti |
Eucaristia, testamento dell'amore di Dio: invito alla responsabilità In questa celebrazione eucaristica del Giovedì Santo siamo i testimoni, noi presbiteri e voi fedeli, delle volontà ultime di Gesù che inizierà il suo cammino verso la Passione, per donarci nella mattina di Pasqua il grande dono della Risurrezione. Una responsabilità forte ci viene riversata con questa celebrazione perché come cristiani siamo chiamati ogni qualvolta che ci stringiamo intorno all'altare del Signore a rivivere ciò che, nell'Ultima Cena, c'è stato consegnato: l'eucarestia. Questa responsabilità è in primis del presbitero che è chiamato sicuramente ad attenersi fedelmente alle prescrizioni. Improvvisazioni e originalità non sono consentite perché l'invito del Signore è chiaro e occorre mantenersi alle indicazioni. Quanto dolore e quanti inviti da parte della Chiesa perché il modo di celebrare si conformi a ciò che indica il Maestro. Il presbitero non è il padrone della celebrazione, ma sull'insegnamento di Gesù stesso è servo. Nel giorno in cui si ricorda l'istituzione del sacerdozio ministeriale in questi versetti del Vangelo ci viene consegnato uno stile da parte di colui che non è venuto per essere servito ma per servire. Fa piacere quando il popolo di Dio richiama proprio il presbitero alla responsabilità che ha nel momento in cui presiede e non può fare di testa sua. Alcuni anni fa mi aveva colpito un sacerdote che sosteneva ad esempio che la parola sacrificio era ormai da togliere nelle formule della consacrazione. Molto spesso non si sa che sacrificio vuol dire letteralmente ‘sacrum facere', rendere sacro qualcosa o qualcuno, offrendolo alla divinità. Teniamo conto che l'idea e la pratica dell'offerta sacrificale si incontra nell'Islam e per finire alle cosiddette religioni naturali. Certo tutto con accentuazioni diverse. Da Caino e Abele le società sono fondate sul sacrum facere' Il sacrificio viene inteso, solitamente, come "immolazione di una vittima", e questo ha a che vedere con la vita e con la morte. Lo scopo è, essenzialmente, la comunicazione con il Sacro, con la Divinità per adorarla e ottenere i suoi benefici. Nel contesto dell'Ultima Cena Cristo è l'"Agnello immolato" della Pasqua che porta a compimento e sostituisce la figura dell'agnello dell'antica alleanza. Viene crocifisso nell'ora in cui, nel tempio di Gerusalemme, si offrivano i sacrifici. Occorre che comprendiamo bene il senso genuino del sacrificio di Cristo sulla croce, che ha posto fine a tutti gli altri sacrifici. Con l'oblazione di se stesso, Gesù opera il passaggio dall'offerta di cose esteriori a un'oblazione di sé esistenziale, che prende il centro della vita per donarlo a Dio e ai fratelli. Quindi il sacrificio di Cristo è il dono totale di sé, della sua persona fino alla morte, dono ispirato da un amore senza misura, che va «fino all'estremo» (Gv 13,1). Cristo non ha scelto la sofferenza e la croce, nel Getsemani ha pregato il Padre di allontanargli questo calice, ma l'ha accettata come espressione di obbedienza e di amore. Il sacrificio di Cristo sulla croce, che ripara il rifiuto di Adamo e stabilisce la piena comunione con Dio e tra gli uomini, è avvenuto una volta per tutte e per tutti. Non ha senso che sia ripetuto. Il sacrificio della Santa Messa non è la ripetizione, ma la ripresentazione nel tempo e nello spazio, dell'unico sacrificio di Cristo. Nella celebrazione dell'Eucaristia, che rende presente e attuale l'immolazione di Cristo sulla croce, la parola sacrificio ritorna con frequenza riferita a Cristo ma, anche, ai partecipanti: «Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi. ... Questo è il mio sangue versato per voi». E dopo la consacrazione, il celebrante prega: «Egli faccia di noi un sacrificio perenne a Te gradito». Da questo deriva l'impegno di tutti quindi anche del popolo di Dio di essere partecipi di questo grande mistero. Molto spesso si rischia di vivere in maniera staccata le celebrazioni senza una partecipazione vera a quello che siamo chiamati con responsabilità a essere presenti attivamente. Tutti chiamati a vivere il mistero per renderne più agevole il penetrare nella nostra vita la forza salvifica del sacramento per intessere al meglio le nostre relazioni e per vivere con maggiore impegno la nostra quotidianità. Per far percepire tra noi l'amore che rimane calamita per chi non crede. |