Il venerdì santo è un giorno solenne, austero, nel quale siamo chiamati a volgere frequentemente lo sguardo del cuore alla passione del Signore. Il termine stesso "passione" evoca le due dimensioni fondamentali di ciò che Gesù ha vissuto: passione come sofferenza e passione come amore appassionato. Anzitutto passione come sofferenza, che nostro Signore ha voluto attraversare e vivere, condividendo davvero tutto con noi, eccetto il peccato. Così, amando anche nella sofferenza, l'ha illuminata della sua presenza, per farci scoprire che nemmeno lì Dio ci molla, anzi, proprio lì si rende ancor più incontrabile. Così facendo, soffrendo per amore, nella fedeltà al Padre, Gesù ha trasformato l'umana sofferenza in categoria di redenzione; alla luce della croce, l'umana e ingiusta sofferenza, specie quella vissuta con Lui e offerta a Lui, fa misteriosamente "massa" con la sua, giovando alla salvezza della persona e del mondo intero. È un mistero grande, consolante, da contemplare in silenzio, magari davanti ad un crocifisso. Una sofferenza che Gesù non ha vissuto da supereroe, ma da figlio, unito al Padre, vincendo il male con un amore più grande. Sofferenza che ha vissuto fino all'ultimo respiro, per farci "vedere" il suo amore per noi.
E qui abbiamo il secondo aspetto, il principale: passione come amore appassionato, che non si arrende nemmeno di fronte al rifiuto dell'amato. Gesù ha volontariamente abbracciato la sua passione, non perché felice di soffrire, quasi che la sofferenza in se sia una cosa bella, ma felice di soffrire per noi, per me, per te. Il Figlio è stato mosso unicamente dall'amore: dall'amore del Padre e per il Padre, e dall'amore per noi, per la nostra salvezza. Sapeva che la passione era necessaria alla nostra salvezza: per salvarci era necessario essere fedele sino alla fine, amarci sino in fondo. Egli ha trasfigurato il sacrificio con l'amore, offrendosi per ciascuno di noi, vincendo il male con un bene più grande, riempiendo d'amore l'umano dolore. Questo ci incoraggia, e attingere alla sua grazia ci rafforza. Noi abbiamo paura di soffrire, e fatichiamo tanto ad amare quando costa, a essere fedeli quando umanamente "ci conviene poco". Tendiamo al nostro, a noi stessi, a difenderci, a salvaguardarci. Nostro Signore, donandosi a noi, infonde in noi per mezzo dello Spirito Santo il suo stesso amore perché, uniti a Lui, possiamo "rompere le catene" dell'egoismo e amare. A noi perderci un po' di vista, non vivendo come se fossimo l'ombelico del mondo. Smettiamola di centellinare quello che gli altri fanno per noi, di brontolare alla minima contrarietà, al primo contrattempo, o appena una cosa non ci gusta o non ci garba appieno. Guardiamo al Signore, tanto buono con noi, tanto generoso: impariamo da Lui e, uniti a Lui, doniamoci come Lui, per la salvezza nostra e di tanti, a partire dalle piccole grandi cose di ogni giorno.
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