Omelia (06-04-2023)
padre Gian Franco Scarpitta
La rivelazione come amore estremo.

Questo è uno dei giorni in cui apprendiamo che la pienezza della rivelazione di Dio la si vede in Gesù Cristo. Attraverso Gesù si vede il Padre e si giunge alla conoscenza della verità (Dei Verbum, 1Tm 2, 4). Come tante volte abbiamo osservato, Gesù rivela la vera identità di Dio nelle sue parole, nel suo messaggio, nell'annuncio della salvezza e soprattutto nelle sue opere di attenzione e di amore, che svelano il Regno di Dio, ossia non solo la rivelazione ma l'esserci di Dio fra di noi. Gesù ci rivela un Dio sorprendente, capace di farsi uomo egli stesso e di spendersi per l'uomo nella forma totalizzante. Gesù ci svela che Dio è amore fino all'estremo, fino all'inverosimile, al punto da consumarsi inesorabilmente per ciascuno di noi. Certo, Dio è sempre se stesso, Signore indomito e assoluto padrone e re dell'universo; a lui va tributata la gloria e l'onore in quanto da lui ogni cosa dipende, prima fra tutte la nostra vita, però è un dato di fatto che "la gloria di Dio è l'uomo vivente"(S. Ireneo), cioè la realizzazione e la gioia dell'uomo medesimo. Questa consiste nel realizzare la comunione con Dio e l'intimità con lui, e così guadagnare la vita. La gloria di Dio di conseguenza consiste nell'amare l'uomo fino all'inverosimile, nel servirlo e nel condurlo passo dopo passo negli itinerari di salvezza e di vita. E questo avviene nelle parole e nelle opere di Gesù.
Parole e opere del tutto semplici e immediate, che costituiscono le une e le altre un messaggio diretto e inequivocabile, come l'avvenimento di cui si tratta oggi, il quale si commenta da se stesso.
Gesù, vero Dio e vero uomo, Verbo Incarnato che preesisteva fin dall'inizio dei tempi (Gv 1, 1 - 15) siede a tavola con i suoi discepoli in una cena di commiato, che secondo gli evangelisti sinottici (Matteo, Marco e Giovanni) coinciderebbe con la Cena pasquale in uso nel mondo Giudaico, secondo Giovanni in un'altra cena di addio organizzata un giorno prima.
In questa circostanza dimostra solo con un gesto cosa significhi essere davvero un maestro o una vera autorità: si china su ciascuno degli apostoli e a ciascuno lava i piedi con attenzione, solerzia e umiltà suprema, vale a dire con carità. Compie un'opera che nessun altro avrebbe mai compiuto, poiché lavare i piedi era azione riservata agli schiavi e comunque non a tutti indirizzata. Gesù la realizza a loro che sono suoi discepoli, anzi i suoi apostoli, a prescindere dai loro meriti, dalla loro storia e dalla singolare identità di ciascuno e questo gesto è espressione della vera maestria. "Voi mi chiamate maestro, e dite perché lo sono" Osserva dopo. Ma la vera pedagogia in che cosa consiste se non nella trasparenza e nell'esemplarità di vita? E' la testimonianza spontanea, latente e silenziosa che rende edotti convenientemente di un concetto; come dirà Paolo, "la scienza gonfia e la carità edifica." e l'apprendimento non per forza si da' per via intellettuale (1Cor 8,2).
Il maestro è davvero tale quando tiene davvero a essere coerente con ciò che insegna, anzi quando tiene davvero ai suoi stessi discenti, mostrando amore sincero, disinteressato e considerando ciascuno bene unico e prezioso. Lavare i piedi è segno esplicativo di questo amore, che richiede attenzione in ogni caso, eroismo e fuga dalla mediocrità e dall'ipocrisia.
E' sempre di sollievo essere considerati e valorizzati dagli altri. E' incoraggiante e aiuta a non sottovalutare noi stessi perché essere apprezzati accresce in noi la fiducia e l'autostima. Che qualcuno ci rivolga delle attenzioni o si interessi dei nostri problemi e delle nostre difficoltà o semplicemente quando taluno si preoccupi di usarci attenzione in ciò che chiediamo comporta in noi una grande soddisfazione, che si riproduce nello sprone a dare il meglio di noi stessi. Di questo è emblematica la lavanda dei piedi, di una peculiare attenzione senza riserve che ci incoraggia e ci sospinge e Gesù la realizza senza esitazione e senza ritrosia.
E' l'amore nel quale occorre persistere fra di noi, per non disperdere o vanificare quello che il maestro ci ha elargito. Ecco perché Gesù parla di un comandamento nuovo: "Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi" e solo questa è la condizione di attendibilità verso coloro che non ci conoscono. Perché l'amor fino all'estremità del donarsi comporta che anche in coloro ai quali doniamo si accresca il desiderio di donarsi a loro volta. Il dono di se stessi agli altri apporta sempre serenità, pacificazione interiore e soddisfazione per la stessa gioia che il dare comporta.
Rivelazione del vero Dio è anche l'oblazione che Gesù fa di sé nel pane e nel vino, elementi della Cena che anticipano quello che sta per accadere sul luogo detto Cranio: Gesù distribuisce il pane ai suoi, li informa che questo è il Suo Corpo, ossia Egli medesimo che sta per sacrificarsi per loro. Il riferimento è chiaro: non si tratta di un simbolo, ma di una realtà. Gesù dice espressamente "Questo sono Io", come l'Io sono che lo qualifica come Dio Incarnato (Gv 8, 24). Avendo davanti il calice del vino, dice espressamente che esso contiene il Sangue attraverso il quale avverrà l'alleanza fra Dio e l'uomo. Il Sangue che fra poco scaturirà dai chiodi della croce e che lo renderà Agnello immolato che si offre in libagione per il riscatto dei nostri peccati. "Fate questo in memoria di me" è invece l'invito a reiterare il medesimo sacrificio fino alla fine del tempo, mentre la sua presenza sarà certa e reale sebbene misteriosa, nello stesso Sacramento del pane e del vino, che chiamiamo Eucarestia. In esso Gesù, una volta sottrattosi alla visione materiale dei suoi discepoli, garantirà la sua presenza perenne nel tempo, a edificazione di noi tutti e a beneficio della Chiesa.
L'Eucarestia è Gesù stesso, che si era proposto come "pane vivo disceso dal cielo" del quale occorre che ci si nutra per avere la vita; ora si offre a noi come alimento di salvezza e farmaco di immortalità, apportatore della comunione con Dio che è indispensabile per guarire da ogni infermità e guadagnare già adesso la vita eterna (appunto farmaco). La sua presenza nel pane e nel vino, che risponde alla sua esplicita volontà, perpetua quella con cui si era cimentato in Giuidea e in Galilea e apporta ai nostri giorni il medesimo frutto di serenità, fiducia, costanza e perseveranza nella fede, nella speranza e nella carità.
Il pane eucaristico è anch'esso frutto dell'amore divino senza limiti, con il quale Gesù ama i suoi discepoli "fino alla fine"; secondo alcuni esegeti, l'espressione vuol dire "fino ai confini del possibile" e che nulla è stato omesso di questo amore. Nemmeno quello che per noi è inverosimile.