Omelia (07-04-2023)
don Alberto Brignoli
La Croce, un albero da frutto

Ecco il legno della croce, dal quale pende la salvezza del mondo: venite, adoriamo. Mentre compiamo il suggestivo e austero gesto dello svelamento e dell'ostensione della Croce, nella Liturgia del Venerdì Santo, si canta questa antica antifona, il cui concetto teologico e di fede è legato al termine "il legno" della Croce, o forse sarebbe meglio dire "l'albero della Croce".
I Padri della Chiesa comparavano l'albero della Croce all'albero dell'Eden. La comparazione era antitetica: se all'albero dell'Eden fu appeso il frutto che portò alla nostra condanna, all'albero della Croce fu appeso il Frutto che portò alla nostra salvezza.
È suggestivo, certo: ma non è facile vedere la Croce come un albero che dà frutti, e frutti di salvezza. Che cos'è, per noi, la Croce? Che cosa pensiamo, quando pensiamo alla Croce? Di certo, non credo che ci venga da pensare a qualcosa di bello e di positivo. Quando, infatti, diciamo: "Ho un'enorme croce da portare sulle spalle", oppure "Che croce mi è capitata!", non esprimiamo sicuramente gioia né tanto meno soddisfazione. La Croce ci rimanda alla fatica, alla sofferenza, al sacrificio, al peso, alla malattia, al dolore, in definitiva, alla morte. A tutto possiamo pensare, quando pensiamo alla Croce, tranne che a un albero che dà frutti. Eppure, per un incomprensibile mistero della volontà di Dio, anche l'albero della Croce dà frutto, e per di più un frutto che dona la vita; e neppure una vita qualsiasi, ma quella che dura per sempre.
La nostra vita è cosparsa di croci, di tutte le dimensioni, di tutte le fattezze, di qualsiasi peso e forma, di ogni tipo di durata. Tutti quanti le abbiamo sulle spalle, ognuno la nostra, ognuno diversa, a volte più di una, e tutti ne abbiamo per lo meno una. Ce ne sono di tutti i tipi, eppure nessuna è identica all'altra; tutte sono pesanti, nessuna è più leggera o più facile da portare, la maggior parte di esse le sopportiamo. Grandi e piccini, giovani e vecchi, adulti o anziani, nessuno è escluso: e nessuno può lamentarsi più di un altro, nessuno consolarsi più degli altri, la croce tocca tutti, prima o dopo, presto o tardi, nessuno ne è escluso. E soprattutto, nessuno può scrollarsela di dosso facilmente, dicendo: "A me non importa, io non la voglio". Non è neppure necessario andarsela a cercare: la nostra croce è già in cerca di noi, ce l'abbiamo sulle spalle prima ancora di accorgerci, e quando ce ne accorgiamo ha già preso la forma del nostro corpo e della nostra vita.
Ci cade addosso personalmente, singolarmente, ma ci cade addosso anche come umanità, nel nostro insieme. In alcuni luoghi ha la forma di una guerra, in altri ha la forma della miseria, in altri ancora del degrado, in altri della violenza e della delinquenza, della corruzione, dello sfruttamento, della menzogna, della perversione del potere. La croce non abbandona mai l'umanità, non ci lascia mai soli, non fugge da noi così come vorremmo: ci sta sempre addosso, in cima, sulle spalle.
Eppure, la croce è un albero che dà frutti. Poco piacevoli da mangiare, ma li dà, li produce. E di questi frutti l'umanità si è accorta un venerdì pomeriggio, un giorno come oggi, quando da uno di questi alberi della Croce di cui il giardino dell'umanità è disseminato, fu appeso un Frutto che è la salvezza del mondo, e che da quel giorno non ha più abbandonato l'umanità al suo destino.
Da allora, non c'è croce che non dia frutto, non c'è sofferenza che sia solo dannosa, non c'è male che venga solo per nuocere, non c'è dolore che non purifichi, non c'è sacrificio che non rafforzi, non c'è lacrima che non fiorisca. Perché Dio ha scelto di pendere con suo Figlio, come un frutto, da quell'albero della Croce.
Perché la Croce, da quel venerdì pomeriggio, non è certo scomparsa dalla faccia della terra, tutt'altro: ma non ha più l'ultima parola sull'umanità.