Omelia (15-06-2023)
don Giampaolo Centofanti


Talora per la cultura astratta nella quale viviamo qualcuno può essere portato a sentirsi in colpa per le distrazioni involontarie nella preghiera. Qui, come in altri brani con sottolineature diverse, Gesù evidenzia che la preghiera vissuta con cuore sincero porta verso una crescita nella vita concreta, come il riconciliarsi col fratello. Gesù non parla mai di distrazione nella preghiera, di formalismi vari, per esempio avverte che non serve a niente sentirsi in obbligo di dire tante parole come se fossero formule magiche. Specie nei primi anni del cammino di fede l'importante è pregare come e quanto si può con semplicità e buonsenso. E cominciare gradualmente a lasciarsi portare, dallo Spirito ricevuto pregando, nella concreta vita nuova. Certo che crescere nella quantità di preghiera può essere un grande dono ma solo in questo cammino libero, sereno, non con forzature che possono sapere di superstizione. Dio ci ama, ci fa respirare a pieni polmoni.

Così il nostro avversario che davvero può rovinare la nostra vita siamo noi a noi stessi. Il diavolo può indurci in errore solo nella misura in cui Dio glielo consente, sapendo che quella difficoltà, nella sequela di Gesù, si trasformerà in occasione di crescita. Invece noi solo possiamo chiudere il nostro cuore in una prigione. Il pagare fino all'ultimo spicciolo significa che un cuore chiuso talora finisce per ricevere stimoli ad aprirsi dalla sofferenza che quella vita gli provoca.

Qui emerge il mistero del dolore umano. Gli angeli e i demoni, puri spiriti, in un istante hanno preso una decisione eterna sulla loro vita, per il bene o per il male. Invece l'uomo può crearsi da solo mille sofferenze con le sue scelte di una certa chiusura ma in fondo può farlo a lungo senza aver chiuso il cuore completamente e definitivamente. Ed è proprio la sofferenza allora che può aiutarlo a comprendere quanto certi percorsi tolgano vita. La debolezza dell'uomo può dunque rivelarsi la sua forza.