Omelia (27-04-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Giovanni 20, 19-31 Dal mattino di Pasqua si passa alla sera di quello stesso giorno. Solo Giovanni racconta che Gesù apparve in mezzo ai suoi entrando a porte chiuse. Essi stavano chiusi nel cenacolo per paura dei giudei. I discepoli temono di subire rappresaglie, per questo vivono nel terrore. Gesù entra nella casa a porte chiuse, perché il corpo del Risorto ha qualità sovrumane e può superare ostacoli insormontabili all'uomo. Il Signore, mostrandosi ai discepoli, rivolge loro il saluto messianico: "Pace a voi!" (v.19). Sulle labbra del Risorto questa espressione, tanto comune tra gli ebrei, acquista un significato particolare: è l'augurio della salvezza operata dal Redentore. "E detto questo mostrò loro le mani e il fianco" (v.20) per far vedere le ferite dei chiodi e del colpo di lancia. Giovanni è l'unico che parla del colpo di lancia che ha trafitto il fianco di Cristo sulla croce. Con la sua risurrezione Gesù ha mostrato di essere vero Dio, padrone della vita e della morte: egli è veramente il Signore, Iahvè. I discepoli si rallegrarono proprio perché hanno riconosciuto in Gesù risorto Iahvè. Dopo aver dato loro la seconda volta la pace, il Risorto affida ai suoi discepoli la missione di essere suoi messaggeri. L'invio dei discepoli da parte di Gesù è paragonato a quello di Gesù da parte del Padre (v.21). Si tratta quindi di una consacrazione divina dei discepoli di essere gli annunciatori del Risorto: per questo sarà sigillata con il dono dello Spirito Santo (v.22). Questo soffio di Gesù risorto richiama l'azione creatrice di Dio, quando soffiò nelle narici di Adamo l'alito della vita (Gen 2, 7). Secondo l'oracolo di Ezechiele 37,9, lo Spirito di Dio darà vita alle ossa aride, soffiando su di esse. Perciò il giorno della risurrezione del Cristo è creato l'uomo nuovo, il popolo dei salvati inviato nel mondo per annunciare il messaggio della salvezza evangelica. Con il dono dello Spirito che li consacra alla missione, i discepoli ricevono anche il potere di rimettere i peccati. Rimettere i peccati significa purificare dalla colpa (1Gv 1,9) per mezzo del sangue di Gesù (1Gv 1,7). Questo potere di perdonare i peccati è riservato a Dio e a suo Figlio (cfr Mc 2,5-10). Il giorno della sua risurrezione Gesù conferisce questa facoltà divina alla sua Chiesa (v.23). Giovanni, dopo aver descritto il primo incontro di Gesù con i suoi la sera di Pasqua, si premura di precisare che Tommaso era assente quando venne Gesù (v.24). Quest'uomo molto concreto (cfr Gv 11,16; 14,5) vuol vedere con i suoi occhi e toccare con le sue mani; egli non crederà finché non abbia visto il segno dei chiodi nelle mani di Gesù e messo il dito al posto dei chiodi e la mano nella ferita del costato. Questa frase dell'apostolo è aperta dal verbo vedere e chiusa dal verbo credere. Egli dichiara apertamente: "Se non vedo e non tocco, non credo". Nella seconda apparizione ai discepoli nel cenacolo, otto giorni dopo, Gesù, dopo aver salutato gli amici col dono della pace, si rivolge all'apostolo non credente esortandolo a toccare le sue ferite per credere. In questo invito il Signore prende quasi alla lettera le parole di Tommaso, tralasciando la frase sul vedere, perché l'apostolo ha davanti a sé il Signore. L'esortazione del Signore a non essere incredulo, ma credente, trova la risposta nella professione di fede di Tommaso che riconosce in Gesù il Signore Dio. L'aggettivo "mio" davanti a Signore e Dio denota un accento d'amore e di appartenenza. Nella sua replica alle parole di Tommaso, Gesù volge lo sguardo ai futuri discepoli che non si troveranno nelle condizioni dell'apostolo, perché non avranno la possibilità di vedere il Risorto: i futuri discepoli che crederanno senza aver visto sono proclamati beati (v.29). La frase di Gesù a Tommaso contiene un velato rimprovero perché la fede pura dovrebbe prescindere dal vedere e dal toccare. Tuttavia nel passo conclusivo del suo vangelo, Giovanni dichiara che i segni operati dal Cristo non sono inutili, anzi essi devono favorire la fede. L'evangelista dichiara che la raccolta dei segni rivelatori di Gesù contenuti nel suo libro è incompleta e parziale (v.30). Lo scopo della raccolta dei segni operati da Gesù, cioè lo scopo del vangelo, è suscitare e rafforzare la fede nel Messia, Figlio di Dio (v.31). L'effetto salvifico di questa adesione al Cristo, Figlio di Dio, è il possesso della vita divina, mediante la sua persona. Le ultime parole di Gesù: "Beati coloro che pur non avendo visto, crederanno" costituiscono il vertice delle apparizioni del Cristo risorto ai discepoli. Il messaggio di questa beatitudine evangelica è importante per tutti i cristiani di tutti i tempi. Alcuni di essi cercano, con una bulimìa insaziabile, apparizioni, prodigi, messaggi celesti. La Costituzione Dogmatica del Concilio Vaticano II sulla Divina Rivelazione ricorda autorevolmente che non ci si deve aspettare nessun'altra rivelazione pubblica prima della venuta finale del Signore (DV, 4). Dio si è manifestato in modo autentico nella sacra Scrittura, che rappresenta la regola suprema della fede della Chiesa, il nutrimento sano e sostanzioso della vita del popolo di Dio (DV, 21). |