Omelia (08-01-2006) |
mons. Vincenzo Paglia |
Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo È la domenica del "Battesimo di Gesù" che già ieri abbiamo meditato nella narrazione di Luca. Continuano le "epifanie" del Signore. Dopo quella del Bambino ai pastori e ai magi, c'è quella alla folla degli israeliti raccolti sulle rive del Giordano. Lì c'è il Battista che predica la venuta di un altro più forte e più grande di lui, tanto da non sentirsi degno neppure di sciogliergli i legacci dei sandali. Le parole di questo austero profeta sono pronunciate con sincera venerazione verso colui che il Signore ha inviato per compiere l'opera della salvezza. Costui, infatti, non battezzerà semplicemente con l'acqua ma con lo "Spirito Santo". Si potrebbe dire che "quei giorni" tanto attesi dal profeta, finalmente, sono arrivati. Marco con sobrietà scrive: "In quei giorni Gesù venne da Nazareth di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni". Non c'è nulla di più ordinario della scena di questo battesimo: si mette in fila come tutti, appare peccatore come tutti, aspetta il suo turno come tutti. Non passa avanti e non vanta privilegi; è uomo tra gli uomini, in tutto simile a noi. Nessuno dei presenti lo conosce, tranne il Battista, il quale, come accadde trent'anni prima quando Maria incontrò Elisabetta, appena lo vide "sussultò", ma questa volta nel suo cuore. A ragione perciò, con la sua voce potente, può scuotere la folla dicendo: "In mezzo a voi c'è uno che voi non conoscete". L'epifania al Giordano non avviene in uno scenario spettacolare, bensì su un uomo che non vanta privilegio alcuno; potremmo dire che è quel che accade nella Liturgia Eucaristica quando si apre il Vangelo e si invoca lo Spirito sul pane e il vino. Tutto appare ordinario, eppure si celebra il mistero cardine della nostra vita e della stessa storia. L'evangelista Marco, quasi a non voler disturbare con troppe parole quello che sta accadendo su quella riva, descrive la manifestazione divina in appena due versetti: "Uscendo dall'acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. E si sentì una voce dal cielo: Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto". È la terza volta, per noi, che in questi giorni si aprono i cieli. Nella memoria liturgica che stiamo celebrando, Dio ci mostra il suo Figlio prediletto, salvatore del mondo. Si aprono i cieli e lo Spirito Santo si posa su Gesù alla stessa maniera di come una colomba finalmente si posa nel suo nido. Si potrebbe anzi dire che la Potenza di Dio ha trovato finalmente la sua casa. Non che prima lo Spirito del Signore non ci fosse. C'era sin dalla creazione, quando "lo spirito di Dio aleggiava sulle acque"(Gn 1, 2); e lungo il corso della storia ha continuato ad essere presente negli uomini santi e spirituali, nei profeti, nei giusti, nei testimoni della carità. Ma in Gesù di Nazareth lo Spirito trova la sua dimora piena e definitiva. Infatti, da quel momento inizia un fatto assolutamente nuovo ed unico. Lo sintetizza bene l'autore della Lettera agli Ebrei: "Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio" (Eb 1, 1). Dopo il Battesimo, Gesù inizia a parlare pubblicamente. Si potrebbe dire che uscì dall'acqua con la coscienza chiarissima dell'urgenza dell'annuncio pubblico del regno di Dio. Per Gesù non si trattava, ovviamente, di una questione di bontà o di santità di vita. Senza dubbio Gesù, per trenta anni a Nazareth, fu un esempio di vita per tutti. Tuttavia, nel giorno del Battesimo egli, in certo modo, nacque ad una nuova vita: non pensò più alla sua casa e comunque non ritornò alle preoccupazioni di sempre. L'annuncio del regno di Dio divenne da quel giorno la sua ansia, il suo assillo, la ragione di tutte le sue giornate. Per quest'opera, che avrebbe dovuto portare a compimento, spese tutto il resto della sua vita, tutte le sue energie, "usque ad consummationem". Uscito dal Giordano, infatti, Gesù fu come divorato da un fuoco, da una nuova energia che lo avrebbe spinto a girare per città e villaggi annunciando ovunque il Vangelo del Regno e curando ogni malattia e infermità: "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!"(Lc 12, 49). Il Battesimo significò per Gesù un nuovo inizio. Anche noi oggi, ricordando il nostro Battesimo, riceviamo la grazia di un nuovo inizio: possiamo cioè accogliere almeno un riverbero di quel fuoco che divorava Gesù; possiamo bruciare anche noi per il Vangelo; sentire l'urgenza per il bene degli altri; operare senza sosta perché il mondo si allontani dal male. Quei cieli apertisi sul Giordano continuano ad aprirsi ancora oggi e lo Spirito è effuso su di noi. Siano i nostri cuori simili a quello di Gesù che fu come un nido ove la colomba si posò come nella sua dimora. Nuovo inizio vuol dire essere diversi da come abitualmente siamo, non per moda o stravaganza, ma per avere in noi lo Spirito di Dio, i pensieri stessi di Dio. È scritto in Isaia: "I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri, oracolo del Signore"(Is 55, 8-9). Se accogliamo questa "diversità di Dio" nel nostro cuore, essa sarà per noi come il fuoco, come un'energia dirompente. Saremo spinti anche noi ad una testimonianza più pubblica e più evangelica, come ci esorta anche la prima Lettera di Giovanni. E porteremo molto frutto: "E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?"(1 Gv 5, 5). Accadrà per noi – divenuti testimoni – quello che il profeta Isaia dice della stessa Parola di Dio: "Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra... così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero" (Is 55, 10-11). |