Omelia (22-01-2006) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Seguitemi... vi farò pescatori convertiti Come si affermava la volta scorsa, non vi è altra vocazione che interessi l'uomo di qualsiasi epoca e di ogni dimensione etnica e culturale se non quella dell'incontro personale con Dio che gli si manifesta in tutte le circostanze della vita. A prendere per primo l'iniziativa nei riguardi dell'uomo è sempre Dio, che nella molteplicità dei procedimenti e delle forme presenzia sempre entrando nelle dimensioni della nostra vita, mostrando interesse per le singolari vicende del nostro quotidiano e accompagnandoci in ogni ambito e in ogni situazione, mentre procede il corso della nostra storia; in modo del tutto speciale, Dio si rivela in Cristo, Figlio di Dio Incarnato per la nostra salvezza che mediante i suoi insegnamenti e (soprattutto) le azioni di amore e di misericordia manifesta in modo chiaro e inconfutabile l'amore di Dio Padre nei confronti dell'uomo, specialmente l'uomo peccatore che si smarrisce nei meandri della propria solitudine e del proprio autolesionismo. Sicché la prima vocazione dell'uomo è quella della comunione con Dio, non importa quali siano le proprie convinzioni religiose o la prassi etica e morale che egli stia momentaneamente conducendo: il fatto stesso che l'uomo avverta la necessità si un riferimento esauriente per la propria realizzazione e per la felicità comporta automanticamente che è vocazione universale il riferimento al Trascendente e che si è chiamati ad aderire all'appello divino che si rivela in Cristo. Che cosa suppone tutto questo se non la conversione? Che Dio ti chiami a sé e che tu sai invitato a riscoprire la sua presenza e ad aderire Lui, ciò comporta innanzitutto una presa di coscienza della vacuità e dell'inutilità del proprio stato di lontananza da Dio e dell'irragionevolezza del peccato la cui scelta non soddisfa mai l'uomo e non fa' che rovinarlo, nonché una radicale trasformazione delle proprie convinzioni, delle vedute e della mentalità per un radicale mutamento della persona, non più orientata verso se stessa o verso il consorzio della mondanità, ma atta a considerare ogni cosa secumdum Deum. Questo è il concetto primario di vocazione: convincersi di Dio in conseguenza del fatto che Lui ti venga a cercare e orientare ogni cosa di te stesso verso di Lui, il che sfocia immancabilmente in atti concreti e convinti di carità operosa e duratura. La vocazione alla conversione primaria per tutti gli uomini, dal momento che tutti chi in un modo chi nell'altro cercano Dio, ma non può non interessare anche e soprattutto quanti già da tempo sono impegnati in un qualsiasi itinerario di formazione ascetica o spirituale, o comunque coltivano elementi di adesione a Dio: nessuno, anche se già forte di un cammino spirituale o impegnato nella vita sacramentale ed ecclesiale, può mai presumere di aver raggiunto una volta per tutte il proprio obiettivo di ritorno a Dio, poiché la conversione è un invito che si rinnova di giorno in giorno richiedendo rinnovato impegno e costanza nelle immancabili prove e difficoltà. Uno degli ostacoli all'itinerario di conversione è dato infatti dalla pressante sussistenza della concupiscienza umana, sfruttata dal maligno per indurre l'uomo al peccato, alla quale sono soggetti tutti, specialmente quanti (appunto) si impegnano nella ricerca di Dio; va da sé allora che il combattimento spirituale non sarà mai risoluto una volta per tutte, ma ti impegnerà per tutta la vita conoscendo non di rado anche delle crisi e delle cadute, che non devono scoraggiarci o indurci a gettare la spugna, giacché previste come tappa ineluttabile del conversione. Presumere invece di non aver più bisogno di lottare per la propria spiritualità e di aver raggiunto livelli elevati nella conversione è indice di una affermata presunzione che non può che comportare la ripresa del cammino sin dall'inizio. La conversione è stata motivo di salvezza per i Niniviti raggiunti dalla Parola di Dio in Giona (I Lettura) e apporta salvezza a chiunque rifugge le proprie altezzosità e presunzioni per la riscoperta di Dio; essa è alla base di ogni scelta cristiana e di qualsiasi attività apostolica, missionaria e catechetica che in forza di essa traggono frutto e validità effettiva; così pure è il presupposto di ogni iniziativa di carità che voglia essere reale ed efficiente come anche garanzia della qualità della nostra vita. Perfino la fede presuppone la conversione, come afferma lo stesso Signore Gesù Cristo nel monito categorico "Convertitevi e credete al Vangelo", dove il termine "convertirsi" richiama il metanoiete che sottolinea la trasformazione radicale del pensiero e della mentalità e per implicito l'evidenza che non è possibile credere in Dio e vivere in Lui se prima di Dio non ci si convince fino in fondo. Nella conversione a Dio si riscopre il carattere di fugacità e di banalità delle cose che in questo mondo seducono l'uomo con la molteplicità delle loro propagande inducendolo a confondere il superfluo con l'indispensabile, persuadendoci che è assai ridicolo che la materia possa avere la prevalenza sulle nostre scelte di vita poiché – afferma San Paolo – passa la scena di questo mondo e nulla deve attrarci oltre misura Ma la conversione sta anche alla base delle ulteriori chiamate vocazionali nei vari settori specifici, perché nella misura in cui si è radicati nella familiarità con Dio tanto più si sarà capaci di usare attenzione e prontezza nel discernere la sua volontà e aderirvi consapevolmente e senza ritrosie: così avvenne ai marinai del mare di Galilea che divennero apostoli e pescatori di uomini non prima di aver "riconosciuto" il Signore nella certezza che questi fosse davvero il centro focale della loro vita (Cfr Giovanni); tale avvenimento evangelico, ci rimanda immediatamente alla chiamata divina alla vita di speciale consacrazione quale il sacerdozio o la vita religiosa, ma non esclude il concetto basilare che qualsiasi progetto di vita noi conduciamo al termine dipende dalla volontà di Cristo e dal suo progetto peculiare nella nostra vita personale: qualsiasi scelta vocazionale in quanto tale dipende da Dio e non corrisponde al solo nostro volere e alle nostre intraprendenze. Perché specialmente presso i giovani tale convinzione non è radicata? Perché si è restii a concepire i propri programmi di vita come una realizzazione dei piani di Dio? Perché, di conseguenza non si considera la possibilità di sequela del Signore nelle chiamate speciali del sacerdozio? Perché non ci si è convertiti = convinti di Dio quale effettivo e vantaggioso riferimento nel nostro quotidiano. Entrando nel vivo del nostro popolo credente, generalmente parlando Dio infatti non viene del tutto trascurato e neppure Gesù Cristo è collocato fra le ultime cose in ordine di importanza, e il ricorso alla preghiera è una caratteristica comune anche presso i "lontani" e i "non praticanti"; tuttavia costituisce un lacuna di fondo la mancata convinzione di un Dio capace di entrare nella nostra vita per qualificarla, al quale potersi aprire con fiducia e disinvoltura lasciando che egli stesso intervenga nelle nostre vicende e che sia garante del nostro futuro. Come parecchi esempi potrebbero confermare, nei confronti del divino e dell'Istituzione ecclesiastica non di rado si mostra riverenza e rispetto, omettendo tuttavia la disinvolta fiducia e familiarità: se da una lato si ammette che Dio possa esistere e possa meritare le nostre attenzioni, dall'altra si nutre come una sorta di paura e di distanza quando Questi debba occupare il dovuto spazio nella nostra vita ed entrare nel merito delle nostre scelte decisionali riguardo al futuro così come quando possa determinare il nostro agire morale e le nostre azioni. Forse questo Dio è ancora troppo limitato da parete nostra alle sole funzioni e pratiche religiose, senza che gli si lasci spazio nelle nostre vicende, un po' come quando chiamiamo "Reverendo" il nostro parroco mostrandogli tutto il nostro rispetto guardandoci bene però dall'usargli particolare confidenza o dall'invitarlo a casa nostra in particolari occasioni in cui... "potrebbe avere una brutta impressione" (il paragone non è casuale). Il che non di rado comporta che Dio resti solo nella nostra sfera di astrattismo, ma che non determini le ragioni della nostra vita, in questi casi non poche volte intrisa dal peccato e dalla prevalenza di noi stessi. Se alla base di tutto vi fosse un serio ed effettivo cammino di conversione quale riscoperta del vero Dio garante di benessere e di realizzazione personali nonché capace di incidere al meglio nella nostra vita, non ci si mostrerebbe così scontanti nei suoi confronti ma lo si scoprirebbe davvero dalla nostra parte, compagno di viaggio e garante di benefici continui e si sarebbe pronti a rispondere con fiducia a qualsiasi suo appello, non escluse le chiamate alla speciale consacrazione. Si avrebbe più fiducia nei suoi riguardi e il resto verrebbe da sé. La strada da fare è ancora lunga. |