Omelia (01-11-2023) |
don Alberto Brignoli |
Beato chi ci crede C'era un varietà televisivo della mia fanciullezza che terminava con una simpatica sigla nella quale i due protagonisti, notissimi coniugi della comicità italiana, cantavano "Beato chi ci crede: noi no, non ci crediamo!". E questo ritornello mi risulta quasi naturale associarlo al brano di Vangelo di questa Solennità di Tutti i Santi, quel famoso proclama con cui Gesù apre il cosiddetto Discorso della Montagna del Vangelo di Matteo, e più in generale la propria attività di predicatore. Proclama "beati" tutta una serie di persone che, agli occhi del mondo, tutto possono sembrare meno che "beati": pare, appunto, una specie di auspicio, molto utopico, di fronte al quale ci piacerebbe davvero poter dare il nostro assenso, ma che guardando alla realtà dei fatti ci viene più spontaneo liquidare dicendo "beato chi ci crede"! Perché, stando a quanto vediamo accadere, è veramente difficile credere allo stato di beatitudine dei "poveri", materialmente o spiritualmente parlando: un poveraccio è tutt'altro meno che beato, anzi, è molto più facile definirlo un disgraziato. Definire "beati" quelli che sono nel pianto suona addirittura da presa in giro... Pensare che una persona mite sia una persona "beata" lo si può fare solo nella misura in cui lo si pensa nella sua dimensione interiore, nel senso di "beato lui che non se la prende mai", forse perché vive in un mondo tutto suo, dal momento che vivere in questo nostro mondo fa "incavolare" parecchio, altro che mitezza! La presa in giro dello stato di beatitudine prosegue con coloro che hanno fame e sete della giustizia: vallo a dire a coloro che stanno aspettando giustizia da mezzo secolo e più per la vita dei loro cari, colpevoli solamente di essersi trovati di passaggio in piazza della Loggia a Brescia, oppure allo sportello della Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana a Milano, oppure pronti a iniziare le vacanze e disgraziatamente saliti sull'Italicus del 4 agosto 1974 o in attesa del treno a Bologna il 2 agosto 1980, o ancora su quel volo che sempre da Bologna li avrebbe portati a Palermo la sera del 27 giugno, sempre di quel maledetto 1980, e invece si ritrovarono inabissati nel mare di Ustica... beati loro, forse, perché non sono sopravvissuti alla vergogna che i loro familiari "assetati e affamati di giustizia", e addirittura "perseguitati dalla giustizia" hanno dovuto sopportare quando si sono sentiti dire che "il fatto non sussiste"... e quanti "beati" come loro, in questa nostra povera Italia. Anche essere misericordiosi non è che sia esattamente una "beatitudine", visto e considerato che più sei buono e indulgente, e più te la fanno sotto il naso. E se provi ad avere purezza di cuore e di intenzioni, con tutta la malizia che c'è in questo mondo, anche la migliore e la più innocente delle tue azioni e delle tue parole verranno interpretate come qualcosa di cattivo, altro che "beato"! E poi "beati gli operatori di pace"... Come no? Basta vedere come vengono ascoltati, in questi giorni, quelli che gridano pace da ogni angolo della terra... la prima cosa che si guarda è il tipo di bandiera che essi sventolano, e in base a quella li si definisce pacifisti o terroristi... e intanto "io pago" - grida ogni innocente sulla faccia della terra! Davvero... beato chi ci crede, beato chi nonostante tutto riesce a convincersi che le cose possano cambiare, perché noi umani e comuni mortali facciamo tanta, troppa fatica a crederci! Ecco: la festa di oggi, forse, viene anche a ricordarci questo, ovvero che le cose possono cambiare, che la vita può essere differente, se la guardiamo con occhi diversi, e che dire di loro "beati", forse, non è proclamare un dato di fatto, ma significa indicarci una speranza, una prospettiva. Significa, cioè, che è possibile essere beati in questo mondo nella misura in cui lo vogliamo migliore di come esso è, e facciamo di tutto perché lo sia veramente. Non solo: la Chiesa, in una celebrazione unica, ci mostra che lungo la storia qualcuno che ha creduto al messaggio delle Beatitudini c'è stato veramente, e apparteneva a ogni nazione, tribù, popolo e lingua, perché la Beatitudine, la capacità, cioè, di credere e lottare per un mondo nuovo, non è prerogativa di alcun popolo, non parla una solo lingua, non è appannaggio di alcuna nazione, men che meno di quelle più potenti. È possibile a tutti, e ci dobbiamo credere tutti. Perché qualcuno, anzi, molti - "una moltitudine immensa che nessuno poteva contare", dice Apocalisse - lo ha fatto. E sono i santi e le sante di ogni tempo, di ogni cultura, e di ogni fede. Beati sono Francesco e Chiara d'Assisi, perché poveri in spirito e nel corpo; beato è il pianto di Monica di Ippona, perché le sue lacrime hanno reso santo il figlio Agostino, come le lacrime di María Maddalena hanno fatto di lei l'apostola degli apostoli; beato è Oscar Romero, beato è Pino Puglisi, e tutti coloro che assetati e affamati di giustizia, pur essendo dalla giustizia umana perseguitati, hanno amato il loro popolo fino al dono della vita; beata la mitezza di Francesco di Sales, di fronte alla quale la gente in Savoia si domandava quanto doveva essere buono Dio, se il loro vescovo Francesco era così buono; beati i vari Leopoldo Mandic, Padre Pio, e tutti coloro che si sono consumati nel confessionale amministrando la misericordia di Dio; beata la purezza di cuore di Luigi Gonzaga, di Filippo Neri, ma anche di quel povero contadino di Ars che di fronte allo sguardo severo del suo Santo Curato, meravigliato del fatto che passasse delle ore a fissare il tabernacolo ridendo, gli rispose "Io lo guardo, lui mi guarda; lui mi sorride, e io anche!"; beati i Martin Luther King, i Gandhi, i Giovanni XXIII, i Tonino Bello, i Charles de Foucauld, i Desmon Tutu di ogni tempo, che hanno operato a favore della pace, intesa davvero come non violenza, al contrario di coloro che, sin dai tempi di Flavio Vegezio (siamo nel VI secolo dopo Cristo), teorizzano che se vuoi la pace devi preparare la guerra... Quanti beati, nella storia: e quanta nostalgia, di beati come questi, nei tempi che ci troviamo a vivere. Ma oggi non è il giorno della nostalgia e del rimpianto: pensando a loro, è il giorno della speranza. Pensando a loro, oggi vogliamo dire: "Beato chi ci crede. Noi, sì, ci crediamo!". |