Omelia (01-11-2023) |
don Angelo Casati |
Lasciamoci profumare C'è una intimità in questa festa di tutti i santi, una festa che vive e si celebra tra case quotidiane e cimiteri infiorati. E ciascuno - santi come questi - li profuma nel suo cuore. Grato di esserne stato a sua volta profumato nella vita. Ritornerò sull'immagine. Un rito del cuore. Non ci sono busti d'argento per loro, ma foto forse, ritagli, frammenti, le piccole cose che parlano, chiacchierano nelle case. Come succede per le cose degli innamorati: chiacchierano, parlano, sono segni di un amore che ancora vive. Piccoli, ma germogli. E mi prendo la libertà di dare, sull'inizio, ai "santi quotidiani" l'immagine del "germoglio": certo perché mi è cara, ma anche perché in questi ultimi mesi mi è accaduto - cosa da emozione ingualcibile - di attendere con i suoi genitori la nascita di un bambino che, al suo sgusciare dal grembo, senza cesure di tempo, sarebbe volato via. E il verbo "volar via" non è appropriato, perché dice distanza. Forse più corretto sarebbe dire con Christian Bobin: "Tra la mia vita e la mia morte, una semplice parete di carta. Io ti sento camminare dietro". Cammina Dio dietro, camminano i nostri cari dietro. E non finiscono di essere germoglio di qui della parete di carta. Sapeste quante cose ha fatto germogliare e ancor fa germogliare quel frugolo di vita. E il cimitero, terra di germogli; la fioritura in noi. Vengo alla lettura dell'Apocalisse, al fascino ma anche all'enigmaticità delle immagini. Vorrei ricordarvi che è un libro scritto in tempi difficili, per incoraggiare, per sostenere, per dare l'audacia della resistenza. Vorrei dire: guardate i santi, anche quelli della casa, per sostenere la speranza. Sempre mi colpisce nel libro - e mi fa esultare - la smisuratezza del numero dei "segnati"; e, ancora, mi colpisce che il raduno sia da ogni dove. Nessuno osi scrivere sulla santità una appartenenza: "Ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua". Un mio caro amico, Marco Campedelli scrive: "La santità non è esclusiva di una religione: in tutte le religioni si manifesta la santità di Dio. La santità non è nemmeno una esclusiva del sentire religioso, c'è anche una santità laica, che si esprime in una vita donata, aperta alla speranza". Mi ha sempre affascinato che i santi nel libro dell'Apocalisse portino sulla fronte il sigillo dell'Agnello, portino il segno di Gesù, una grazia che parla di lui. Che racconta che siamo stati amati: la santità non è frutto di impeccabili detentori di primati dello spirito. Racconta la grazia, racconta lo sguardo amorevole, tenero, incoraggiante di Gesù. Se volete spiare chi sono i beati salite sul monte, su cui siamo saliti oggi, quello delle beatitudini, guardate il maestro, custodite quella voce che fa rivoluzione di bellezza, respirate l'aria che si è fatta tra la gente, parole e visi. Aveva appena finito di dire alle folle, a noi, che era possibile quello che tutti dicevano - e qualcuno ancora oggi dice - impossibile. Aveva aperto tracce per un cammino. Non parlava come i loro capi, caricando pesi. "Parlava - dicevano - "come uno che ha autorità", cioè come uno che fa crescere. Tieni le sue parole come parole di uno che fa crescere, tienine i gesti come gesti di uno che fa crescere. Lasciati profumare. Scrive ancora Marco Campedelli a proposito di santità - e mi sembra bellissimo -: "Santità per noi è diventare il Vangelo che ogni domenica raccontiamo. Gesù vive la santità della vita, fuori dai templi, la santità nel gesto di spezzare il pane, del lavare i piedi ai suoi discepoli. La santità di allargare la braccia sulla croce per amore. Mangiare il pane del vangelo è maturare questa umanità che fa rima con santità. Diventare le parabole viventi del vangelo avere due braccia grandi come quelle del Padre misericordioso che abbraccia il figlio lontano. Avere gli occhi del buon samaritano che sanno vedere sulla strada l'uomo che piange e muore. Avere le spalle del Buon Pastore per portare i piccoli, gli smarriti, i perduti dentro le notti. Vivere la santità del vangelo è dare corpo ai suoi racconti: scendere dall'albero come Zaccheo per aprire la porta al Dio che viene e cambiare il modo di pensare i beni: non più accumulati ma condivisi. Gettare il mantello come Bartimeo per ritrovare la luce. Piangere come Pietro davanti al proprio Maestro tradito. Sentire come Maddalena davanti al sepolcro che l'amore è più forte della morte... Quanti hanno dato corpo a questo vangelo: sono stati coloro che oggi sentiamo vicini e che abbiamo salutato come si salutano le navi in partenza dal porto". Se ne vanno, salpano. Non salpano. Rimane profumo di beatitudini dei piccoli. Ci hanno profumato e ancora ci profumano. Alla mente mi ritorna la cassapanca e le mele cotogne di Aristofane che ne le "Vespe" scrive: "Incoraggiate coloro che vogliono aprirvi una finestra nella mente Serbatene con cura le parole nel chiuso di una bella cassapanca come si fa con le mele cotogne. E per un anno intero i vostri panni avranno la fragranza delle idee". Nel giorno dei Santi, in questi giorni di smarrimento di umanità, questo desiderio incontenibile di panni profumati. |