Omelia (22-01-2006) |
mons. Ilvo Corniglia |
Gesù inizia la sua attività pubblica in Galilea, una regione lontana dal centro religioso di Israele, cioè la Giudea con la città santa Gerusalemme. Una regione abitata anche da molti pagani: è anche per loro che Egli è venuto. L'evangelista osserva che Gesù "predicava il Vangelo di Dio": la buona notizia che ha come contenuto Dio, che proviene da Dio, che Dio stesso comunica attraverso Gesù. "Diceva", cioè non si stancava di ripetere, allora ma anche oggi. Il suo messaggio era incentrato in un annuncio e in un appello, strettamente congiunti. L'annuncio: "Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino". Il tempo, fissato da Dio per attuare le sue promesse, è arrivato. La grande opportunità, l'occasione unica e favolosa per ciascuno è giunta: il "Regno di Dio", cioè Dio stesso che è l'unico Signore, infinitamente potente e buono, vi è vicino, è qui per legarvi a sé e coprirvi di ogni bene. E' una notizia sbalorditiva quella che Gesù annuncia. Ecco che cosa gli sta a cuore farci sapere: attraverso di Lui Dio sta per donarsi interamente a noi. Ma non fa violenza a nessuno, rispetta la libertà. Il suo progetto lo può realizzare soltanto se noi ci stiamo. Ecco perché all'annuncio si collega inseparabilmente l'appello: "Convertitevi e credete al Vangelo". Modello di conversione sono gli abitanti di Ninive (Gio 3,1-10: I lettura). Si tratta non solo di stranieri e pagani, ma di nemici e oppressori del popolo eletto. Il profeta, dopo una prima resistenza, ha accettato a malincuore la sua missione, perché non condivide l'amore universale con cui il suo Dio si prende cura anche dei più lontani. Pensa e spera che la sua predicazione non venga accolta. Ma la parola di Dio opera, al di là dello strumento umano: i cittadini di Ninive si convertono in massa e Dio "si impietosì", lieto di poterli risparmiare. È puntuale la lezione per noi cristiani a non pretendere che Dio agisca solo nel nostro "recinto"- mentre gli altri sarebbero esclusi-, ma piuttosto ad abbracciare col suo sguardo di misericordia ogni popolo e ogni persona. È forte anche il richiamo ad accogliere l'appello alla conversione che Gesù oggi ci rivolge – come già Giona ai Niniviti (cfr es. Mt 12,41) – cogliendone tutta l'urgenza: pochi minuti possono decidere della vita eterna. Nella stessa linea si colloca l'esortazione di san Paolo (1Cor 7,29-31: II lettura) a non "impantanarsi", a non "insabbiarsi" nei beni e attività terrene così da esserne schiavi e incapaci di vedere dove stanno le realtà essenziali (il Regno di Dio e il Signore risorto). Convertirsi è prendere sul serio l'annuncio e la persona che lo offre, dando loro l'attenzione dovuta. Significa volgersi a Dio, volgere a Lui la faccia e il cuore, ascoltarlo attentamente con fiducia. Non voltargli le spalle, cercando la salvezza e la felicità lontano da Lui. Il muoversi di Dio verso gli uomini esige come risposta il muoversi degli uomini verso di Lui. Mentre ascoltiamo questo testo evangelico, qui e ora l'annuncio e l'appello di Gesù ci raggiungono con la stessa novità e la stessa carica di provocazione che sprigionavano quella prima volta.. Qual è la nostra reazione? Il messaggio che Gesù ci rivolge ci interessa veramente oppure pensiamo che non ci riguardi, e ci lascia neutrali? L'imperativo "convertitevi" viene subito ripreso e precisato da un altro imperativo: "Seguitemi". La conversione consiste nel legarsi a Gesù, nel diventare suoi discepoli. L'evangelista insegna che cosa significa "credere al Vangelo". Mostra che cosa accade quando e dove il Regno di Dio, presente in Gesù, arriva e viene accolto: si segue una persona. Abbiamo qui un racconto di vocazione. La scorsa domenica ascoltavamo la chiamata dei primi discepoli secondo il IV Vangelo. Oggi il medesimo fatto, da un'angolazione diversa e secondo diverse modalità, viene narrato da Marco (seguito da Matteo). Ogni evangelista, in modo originale, ha focalizzato alcuni aspetti nel medesimo mistero di Cristo che chiama gli uomini a seguirlo. E' importante notare che Marco narra un fatto, ma ne sottolinea il significato a tal punto che il racconto è estremamente concentrato, quasi stilizzato. Come altri racconti simili, presenta uno schema fisso, dove ogni elemento è importante e quindi non va trascurato: 1- Gesù passa; 2- vede qualcuno, di cui si menziona il mestiere e l'attività; 3- chiama alla sua sequela. Non domanda altro. E' l'elemento centrale dello schema; 4- il chiamato lascia tutto; 5- aderisce a Gesù, cioè lo segue. Questo schema, che si coglie in entrambe le chiamate delle due coppie di fratelli, rivela alcune componenti essenziali della vocazione. Da una parte c'è l'iniziativa di Gesù: Gesù passa. Gesù vede cioè sceglie. Non è uno sguardo distratto e gettato a caso, ma uno sguardo di intensissimo amore. Attraverso lo sguardo di Gesù è tutta la Trinità che mette gli occhi addosso a una persona. Gesù chiama. La chiamata da parte di Gesù è grazia, è dono. La decisione dell'uomo è solo risposta. Nessuna autocandidatura al discepolato. Mentre i maestri dell'epoca non andavano in cerca di discepoli, ma erano questi che sceglievano il maestro, è Gesù invece che sceglie i suoi discepoli. La sequela non è una conquista, ma un essere conquistati. Inoltre Gesù li chiama a restare con Lui non per qualche tempo (come avveniva per i discepoli dei rabbini), ma in maniera definitiva: di fronte a Lui essi non saranno mai altro che discepoli, senza speranza di diventare maestri a loro volta. Dall'altra parte l'iniziativa di Gesù provoca la risposta dei chiamati. Risposta che è caratterizzata da prontezza e gioia senza rimpianto ("subito"). Risposta che è rottura con la situazione anteriore (professione, famiglia). Si noti il crescendo nel distacco operato dai discepoli: i primi due lasciano la barca, gli altri due anche il padre. Risposta che è, infine, dono totale a chi chiama per condurre una nuova esistenza caratterizzata dalla comunione con Lui e da una missione: "vi farò diventare pescatori di uomini". Non cattureranno più pesci uccidendoli, ma uomini salvandoli dalla morte. Tale risposta esprime la fede per cui il discepolo, senza chiedere spiegazioni, si affida interamente a colui che lo chiama. Esprime anche il distacco più radicale, dove però si abbandona qualcosa perché si è trovato Qualcuno, dove la perdita è compensata dal guadagno (e quale guadagno!), dove quello che si è trovato fa impallidire ciò che si lascia. Tale risposta è soprattutto sequela. Ciò che qualifica il discepolo di Gesù non è tanto il termine "imparare" (come vorrebbe la sua etimologia), ma il verbo "seguire", cioè condividere il progetto di vita del Maestro. Un altro particolare degno di nota è la...fretta, la rapidità con cui si svolgono la chiamata e la risposta: per due volte l'avverbio "subito" (vv. 18 e 20). "E subito, lasciate le reti lo seguirono... subito li chiamò" (il secondo "subito" non viene riportato nella traduzione italiana). E' un'urgenza per Gesù chiamare, ma lo è anche per i discepoli rispondere: troppo grande è il dono perché non sia offerto con tempestività e perché possiamo esitare anche solo qualche istante a deciderci. Gesù chiamando i discepoli li lega ciascuno alla sua persona: "SeguiteMi (v. 17) ...Ed essi Lo seguirono" (vv. 18.21). Non cerca di convincerli proponendo loro un programma ben articolato e definito. Ma li chiama alla comunione di vita con Lui e a lasciarsi guidare da Lui nel cammino. Ecco la vocazione: sentirsi guardati con occhi di predilezione da Gesù, sentirsi interpellati personalmente, decidere di fidarsi di Lui e di affidargli la propria vita. Una fiducia che a poco a poco diventa fedeltà sempre più grande. Nello stesso tempo coloro che chiama al rapporto personale con Lui, Gesù li inserisce in una comunità dove Lui è il perno e il centro. Con le prime due chiamate si forma già una comunità di discepoli. Non individui isolati seguono Gesù, ma una comunità. Egli non li stacca dagli altri uomini, ma vuole che la comunione con Lui e tra loro si espanda nella missione. E' la realtà della Chiesa. Una volta colto lo schema del racconto, siamo in grado di scoprire la vera intenzione dell'evangelista, che non è semplicemente quella di narrarci un episodio di cronaca, ma mostrare che la chiamata - risposta dei primi discepoli (fatto incontestabile) è, però, emblematica per tutti i cristiani. In questo racconto di vocazione noi possiamo rileggere e verificare la storia della nostra vocazione sia battesimale sia specifica di ciascuno. Una storia non di ieri soltanto, ma di oggi. Anche oggi Gesù continua a "passare" accanto a me, mi "vede" col suo sguardo carico d'amore, mi "chiama" a fare quel passo concreto di fedeltà a Lui e io in ogni gesto decido se seguirlo o meno. Che grazia se, ogni volta che ascolto il "Seguimi!", rispondo subito: "Sì, Gesù, io vengo e ti seguo!". Prova a rivivere nella successione delle varie scene il Vangelo di oggi sentendoti non spettatore neutrale, ma protagonista, come se fossi tu uno dei primi chiamati e proprio a te fossero rivolte tutte le attenzioni di Gesù e il suo invito. Non è un gioco di fantasia, perché ciò che accadde allora continua ad accadere oggi. Dicendo "Seguimi!" Gesù che cosa ti sta chiedendo concretamente di fare in questo momento? Non deluderlo. Deluderesti te stesso. |