Omelia (22-01-2006) |
don Mario Campisi |
Qualita' della comunicazione della fede Ancora due racconti di vocazione come la scorsa domenica. Il primo tratta la storia di un missionario "renitente" alla chiamata, Giona, che solo dopo si rassegna ad annunciare la Parola di conversione e di salvezza. La parola di Dio costringerà quest'uomo a combattere contro le sue stesse convinzioni politiche e religiose di stampo integralistico e settario: gli "atei" non sono forse sotto la maledizione divina? Come può volere Dio che anche per loro ci sia la possibilità di salvezza? Come è possibile che i loro cuori induriti si possano intenerire? Ecco la sorpresa. Gli "empi" niniviti credono, digiunano, si convertono dal loro stato di peccato. Il Dio della misericordia è contrario ad ogni giustizia sommaria, ad ogni pena di morte, ad ogni grettezza religiosa ed ideologica. Dio "non vuole la morte del malvagio, ma che questi si converta e viva" (Ez 18,23). Il secondo racconto, quello della pagina del Vangelo di Marco, ha al centro della scena i primi discepoli di Gesù che, però, non sono esitanti e dubbiosi come Giona, ma uomini determinati tanto che la loro risposta è incondizionata: "subito, lasciate le reti, lo seguirono". Ma anche qui l'iniziativa parte totalemente da Dio. Come Giona anche i discepoli non avrebbero lasciato tutto (casa, famiglia, lavoro) se quel giorno non fosse passato dalle rive del lago di Galilea quel misterioso, accattivante e diverso predicatore rispetto a tutti quelli che fino ad allora avevano ascoltato. Lo sguardo di Gesù è quello che sceglie. Gesù li chiama durante il loro lavoro quotidiano, all'improvviso senza preavviso. E il mettersi alla sequela del Maestro di Nazaret li porterà ad una nuova "professione": da pescatori a pescatori di uomini, chiamati a conquistare a Dio uomini, a strapparli dal male e dal mare delle banalità e delle preoccupazioni della vita per introdurli nel Regno di Dio. Questi uomini pescatori, considerati impuri e di dubbia moralità per il lavoro che facevano, hanno ora un destino meraviglioso. Se analizziamo bene il brano di oggi notiamo i quattro elementi fondamentali del "kerygma" apostolico: "il tempo è compiuto... il regno di Dio è vicino... convertitevi... credete al Vangelo". Un'osmosi perfetta che da Dio va verso l'uomo e dall'uomo verso Dio. "Dio dopo avere parlato in diversi modi, ora nella pienezza dei tempi parla per mezzo del Figlio suo Gesù Cristo". La storia della salvezza adesso ha raggiunto in Gesù la sua pienezza e Dio per la storia e nella storia ha un progetto di armonia e di pace da attuare, ma per farlo ha bisogno del cuore disponibile dell'uomo che per essere tale necessita che faccia inversione di marcia (conversione) e che aderisca totalmente alla voce di Dio che salva e che si racconta e si manifesta adesso nella persona di Gesù (il Vangelo). Questa struttura bipolare osmotica della predicazione di Gesù, induce a verificare la qualità della nostra comunicazione della fede. Se la comunicazione della fede fosse ridotta alla illustrazione della sola dottrina cristiana, il cristianesimo rischierebbe di essere scambiato per un'ideologia e la predicazione per una conferenza culturale, forse anche dotta, ma senza incidenza nella vita reale dell'uomo. Se, al contrario, la comunicazione della fede si esaurisse in una serie di norme morali senza legame alcuno col dono di Dio fatto all'uomo, il cristianesimo sarebbe identificato a una dottrina morale e la predicazione cristiana ridotta a puro moralismo. Anche il duplice imperativo: "Convertitevi e credete al Vangelo" induce ad alcune considerazioni circa la prassi cristiana. Conversione e fede non sono due realtà separate, ma due aspetti distinti di quella "creatura nuova" che vive nella regalità di Dio. Non c'è fede senza vita morale e non c'è morale cristiana che non sia fondata nella fede. La fede autentica, quella che cambia la vita, non è la semplice accettazione intellettuale degli articoli del "Credo", ma la fede che si esprime con una condotta privata e pubblica, personale e comunitaria, in sintonia col "Credo" professato. Chi ha fede autentica compie, attraverso la carità, le opere della fede. La scena della chiamata dei primi quattro discepoli non cessa di interpellare la coscienza dei discepoli nel corso della storia. La fede nel Vangelo (v. 15), per essere suscitata e sviluppata, ha bisogno di "pescatori di uomini" (v. 17) totalmente consacrati alla causa del Regno e della sequela di Gesù. La decisione di seguire, in modo incondizionato, il Signore Gesù deve fare i conti con la cecità e fragilità umana. Lo stesso Marco nel suo Vangelo non manca di far notare l'incomprensione dei discepoli del mistero di Dio rivelatosi in Gesù (8,14-21); il rifiuto della vera concezione messianica (8,32) e il rinnegamento di Gesù da parte di Pietro (14,66-72). E' quanto si verifica nella storia della Chiesa di tutti i tempi. Importante è comunque, lungo il cammino, nonostante le cadute, rinnovare l'impegno e la generosità iniziali per mantenere stabile e definitiva la vocazione alla sequela. Il buio dell'incomprensione del mistero di Dio e l'esperienza della debolezza umana non possono rompere i forti legami di comunione e di vita col Signore. Il ricordo dello sguardo amoroso di Gesù e la potenza della sua Parola sono un fondante supporto che rinfranca e sorregge per tutta la durata dei nostri giorni. |