Omelia (29-01-2006) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Con quale autorità? La sinagoga era (ed è tuttora) il luogo di raduno settimanale della comunità ebraica in cui ci si intratteneva per la preghiera e la lettura della Legge e dei Profeti. Non vi si svolgevano sacrifici di espiazione o di immolazione (per quello vi era il tempio di Gerusalemme) ma costituiva il punto di riferimento spirituale per tutti i credenti che, ogni Sabato vi presenziavano per ottemperarare alle necessità spirituiali. Un dotto rabbino leggeva e commentava le Scritture ma chiunque nell'assemblea poteva prendere la parola ed esprimersi sui contenuti degli scritti. Ma quel Sabato di cui ora sta trattando Marco, in quella determinata sinagoga, avveniva qualcosa di insolito che non poteva non stupire i presenti: Gesù parlava non già come gli altri scribi, che si avvalevano di un precedente corso di studi teologici e che avevano seguito un certo itinerario di formazione sulla Scrittura prima di accedere alle sinagoghe, bensì con un linguaggio del tutto proprio ed indipendente, che addirittura prescindeva dalle Scritture stesse, e con una modalità dialettica che serviva ad accreditare se stesso presso gli astanti. A differenza degli scribi, che restavano sempre e comunque sottomessi ai testi sacri, Gesù parlava con autorità sui medesimi... Parlava appunto con "autorità", in modo tale che la sua stessa parola costituisse oggetto di fede incondizionata. Marco non delucida quali siano i contenuti del suo messaggio, ma è evidente che per suscitare tanta meraviglia doveva trattarsi di argomentio del tutto nuovi; ed infatti lo si descrive come uno che insegna "una dottrina del tutto nuova"; altrove qualcuno commenta: "Un linguaggio mai inteso io sento" e in altre parti addirittura egli stesso afferma tale sua autorità in modo del tutto deciso e perentorio: "Vi è stato detto dai profeti.... Ma io vi dico." Ma da dove gli proveniva tanta e tale disinvolta autorità? E' la domanda che, sempre nello stesso vangelo di Marco (11, 27 e ss) gli rivolgeranno gli scribi e i sommi sacerdoti, quando questi si troverà ad operare nei pressi del tempio: "Con quale autorità fai queste cose, o chi ti ha dato autorità per farle?". Ad essa i suoi interlocutori non otterranno risposta e neppure da se stessi saranno in grado di comprendere il senso di tanta superiorità di Gesù. Noi però siamo in grado di comprenderlo a condizione che consideriamo due elementi: 1) Gesù non intende smentire né modificare i contenuti delle Scritture (come lui stesso afferma), e mantiene sempre la dovuta riverenza e fedeltà nei confronti della Legge e dei Profeti senza togliere neppure uno jota a quanto essi riportano; piuttosto 2) egli vuole "portare a compimrento" le Scritture medesime, attribundovi il senso reale e profondo che comporta nuovi parametri di espressione poiché scaturisce dal suo essere figlio di Dio. Eccoci dunque alla risposta: l'autorità con cui Gesù si erge sulle Scritture gli deriva da Dio Padre del cui messaggio salvifico si fa' latore immediato e diretto; egli è il Figlio di Dio venuto ad instaurare la novità del Regno ed è pertanto legittimo che adoperi nella sinagoga come in altri contesti di predicazione un determinato linguaggio espressivo del nuovo. Chi coglie Gesù nella prospettiva della fede e nella conseguente capacità di accettarlo come Dio fatto uomo, non avrà difficoltà ad ammettere che egli possa rivlgersi ai suoi contemporanei con toni categorici e ben definiti; chi invece non apre il cuore alle esigenze primarie della fede non potrà mai concepire siffatta autorità di Gesù, e questo è il caso degli scribi, dei farisei e adesso dei presenti nella sinagoga. Marco però non si ferma a tratteggiare l'autorità di Gesù e del suo mssaggio. Ne mostra immediatamente l'autenticità e la legittimazione, attraverso l'episodio dell'esorcismo che Gesù opera su questa persona -guarda caso - presente fra i fedeli della sinagoga. Attenzione: non deve stupire il fatto che Gesù operi l'esorcismo e basta: deve invece essere per noi convincente che lui riscontri da parte dei demoni una sorta di paura e di servile sottomisione nei suoi confronti, giacché i demoni non solo gli obbediscono ma addirittura lo chiamano "Il Santo di Dio". E' proprio in forza di questa autorità che egli ha potere sugli spiriti immondi ed è curioso notare come i demoni mostrino in un certo qual modo molta più fede in Cristo che non gli scribi e i farisei, che in altre occasioni ostineranno le loro riserve perfino nell'evidenza di tali situazioni ("Caccia i demoni nel nome del principe dei demoni"). Ma che cosa comporta per noi l'autorità di Gesù Cristo? Come possiamo noi oggi ritrovarci in queste righe evangeliche e come potremmo applicarle alla nostra vita? Beh, se Gesù mostra autorità noi gli dobbiamo fedeltà e obbedienza. Ma questo non basta: nella dinamica della libertà dei figli di Dio noi siamo tenuti ad ottemperare a quanto Gesù ci indica nell'ottica più conveniente della FIDUCIA, poiché nei confronti del Figlio di Dio che apporta con autorità un messaggio di salvezza non si può che ciorrispondere con aperture di cuore e con fiduciosa disposizione alla sequela attiva, pronta e responsabile. Tanto più che, specialmente nella visione del Regno e nell'intera prassi dello stesso Cristo l'autorità si mostra come servizio e ogni atto autoritario da parte del Signore non è che un modo di favorire il benessere dell'uomo. Cristo usa autorità per servirci nell'amore e questo non può non accrescere le motivazioni della nostra fiducia disinvolta. Cosicché è errato pensare che il cattolico obbedisce con ad un esercizio arbitrario ed imperante della sola autorità ecclesiastica (papa e vescovi) con atteggiamento acritico e sottomesso priovandosi di qualsiasi autonomia di giudizio e libertà di espressione; ed è meschino osservare come parecchi, da parte non cattolica si cimentino su queste assurde convinzioni. Il cattolico piuttosto accetta la trasmissione della Parola di Dio da parte dell'autorità magisteriale perché mosso dallo Spirito Santo che nella fede lo induce a vedere nella Chiesa la reale dispensatrice del messaggio di salvezza del Cristo e tutto questo nello spirito della libertà assoluta ed incondizionata, proprio come avrebbe voluto Gesù in questo Sabato particolare e in questa sinagoga specifica di cui Marco ci ha riferito. Nessuno impone che io mi sottometta ad ogni costo e a qualsiasi condizione all'insegnamento magisteriale della Chiesa, ma sono piuttosto io che, ottenuto il dono del Signore il tal senso, scopro nel papa e nei vescovi, quali sucessori degli apostoli, i propagatori nel tempo dell'annuncio che comporta la mia realizzazione e la mia salvezza. Così anche è meschino è assurdo attribuire al Magistero della Chiesa un'autorità che scaturisce semplicemente dalla sua affermata volontà arrogante, come molti sono soliti fare. Quali vantaggi deriverebbero infatti al papa e ai vescovi nel determinare dottrine ed emendamenti che altri non condividono? Quale guadagno materiale potrebbero conseguire nell'emanare certi moniti e disposizioni di rinuncia e sacrificio nel campo (per esempio) della morale sessuale? Non sarebbe più vantaggioso anche per gli stessi pastori non rinunciare a determinate scelte di comodo e di piacere? E' evidente che se il Magistero ecclesiastico assume determinate posizioni non si avale certo di una autorità di apartenenza sua propria, ma esercita piuttosto un'autorità di servizio al popolo di Dio che gli deriva dall'essere mandatario di un ufficio scaturente dallo stesso Signore Gesù Cristo, al quale si guarderà con particolare fiducia e apertura di spirito. |