Omelia (25-12-2023) |
don Alberto Brignoli |
Il silenzio di Betlemme Quella notte, a Betlemme, nessuno si accorse di nulla. A parte i grandi della storia, i quali (da Cesare Augusto a Quirinio) credo che nemmeno sapessero dell'esistenza di Betlemme, di certo non se ne accorsero i suoi abitanti, indaffarati (per quanto fosse loro possibile) a trovare alloggio per i molti oriundi che tornavano al villaggio per il censimento. La capacità ricettiva di Betlemme non doveva essere particolarmente ampia, per cui molti degli abitanti si vedevano costretti ad alloggiare gli avventori in luoghi di fortuna, preoccupandosi quantomeno che non soffrissero il freddo: le stalle facevano proprio al caso loro. Nessun intento discriminatorio, quindi, nei confronti di Giuseppe e di sua moglie María, se non, forse, una mancanza di delicatezza e di attenzione verso il suo stato interessante: ma in queste cose si sa, è difficile prevedere esattamente il momento del parto. Ad ogni modo, ciò che avvenne quella notte, a noi, dopo più di duemila anni di cristianesimo, pare qualcosa di inaudito e di scandaloso, qualcosa che sin dagli inizi della sua vicenda storica in mezzo a noi ha segnato nella sofferenza e nell'indifferenza la vita del Figlio di Dio: rifiutato da tutti nel momento della sua nascita, ignorato da chi si trovava a Betlemme in quei giorni, perseguitato poco dopo dai potenti di allora che lo avevano visto, errando, come una minaccia... Ci sono, senza dubbio, molti elementi di verità in tutto quello che la tradizione ci ha trasmesso come parte dei racconti dell'infanzia di Gesù; così com'è altrettanto vero che molti elementi presenti nelle narrazioni dei Vangeli sono frutto delle rielaborazioni degli evangelisti e delle loro comunità alla luce della storia della salvezza iniziata con l'Antico Testamento, e della necessità di dare enfasi e importanza alla persona di Gesù non solo nella sua dimensione storica, ma anche nella sua dimensione di gloria (in termine tecnico diremmo la sua "dimensione Cristologica"). Da qui, allora, le apparizioni degli angeli e delle moltitudini dell'esercito celeste descritte da Luca nel Vangelo di questa notte; l'annuncio dato sin da subito, ai pastori, della nascita del Salvatore, Cristo Signore; i continui riferimenti alla storia della salvezza nei cantici di Zaccaria e di María, e molti altri elementi utili alla nostra vita di fede sui quali - proprio perché "gloriosi", "eclatanti" - si è concentrata l'attenzione di noi cristiani dal momento in cui abbiamo avuto la possibilità di celebrare la nascita di Gesù "cristianizzando" una festa di origine pagana - la festa del Sol Invictus - che alle sofferenze già narrate dai Vangeli ha aggiunto la sofferenza del freddo e del gelo, facendo riempire i nostri presepi di una neve tanto rara quanto inusuale nel deserto (e non solo...)! Ma quella notte, a Betlemme, nessuno si accorse di nulla: e se proprio qualcuno intervenne a rendere meno sconosciuta al mondo la nascita del figlio di questa giovane coppia di Nazareth, fu un gruppo di pastori della zona, persone semplici, umili, a quel tempo guardate con sospetto perché nomadi (un po' "zingari", diremmo noi oggi...), a cui venne data la notizia (in maniera "angelica", ci dice il Vangelo) di questo fatto un po' inusuale, una specie di emergenza a cui bisognava far fronte con ciò di cui una partoriente e il suo neonato avevano bisogno. E certamente, come avviene tra le popolazioni nomadi, in questi casi scatta la solidarietà: e allora la stalla diviene un via vai di persone pronte ad aiutare, a dare una mano, a dare ristoro e conforto. La cosa più pubblica e più pubblicizzata di quella notte fu proprio la solidarietà: per il resto, il Figlio di Dio, il Messia, colui che veniva a salvare il mondo, nasceva nell'anonimato, nel silenzio di una notte di Betlemme nella quale nessuno si accorse di nulla. E io credo che il grande insegnamento del Natale, della notte di Natale, sia proprio questo: il silenzio e il nascondimento di Betlemme. Se il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo, nasce nel silenzio di una notte come tante altre, in modo un po' rocambolesco, certamente, ma per niente inusuale, in quelle condizioni, forse qualcosa da insegnare alla nostra società cristiana, post-cristiana o addirittura pseudo-cristiana lo ha sicuramente. Pseudo-cristiana, sì: perché è sotto gli occhi di tutti, ormai, che tutto ciò di cui abbiamo riempito il Natale da parecchio tempo non si può più dire cristiano. E per di più, lo teorizziamo, giustificando questo "travaso" di elementi non cristiani sul Natale col fatto che è una festa che deve appartenere a tutti, cristiani e no, credenti o meno, per cui deve essere "laicizzata" il più possibile, spogliata il più possibile di qualsivoglia riferimento religioso, neutralizzata, ossia resa neutra perché possa essere accettata e vissuta liberamente da tutti. Beh, allora se vogliamo essere onesti, spogliamola davvero di tutto ciò che le impedisce di essere la festa di tutti, a partire dalla sua commercializzazione, o ancor peggio dalla sua monetizzazione, capace di giungere fino ad aberranti gesti come quello di comprare per Natale al proprio amico a quattro zampe una ciotola per il cibo griffata del valore di 1.000 euro e oltre! E piantiamola di dire che con i propri soldi ognuno fa ciò che vuole, perché con questo ragionamento che grida vendetta al cospetto di Dio, l'umanità ha giustificato le peggiori ingiustizie sociali e creato i peggiori conflitti! Vogliamo che il Natale sia di tutti? Va bene: che sia di tutti quelli che lo vogliono così com'è stato, quella notte, a Betlemme, ossia un Natale di silenzio e di anonimato. Forse tornerebbe a insegnare qualcosa a tutti coloro che nella vita puntano solo ad avere notorietà, a far parlare di sé, a trasformare tutto (ma veramente tutto) in spettacolo, visibilità e business: da chi spettacolarizza morti violente utilizzandole per mettersi in mostra su palcoscenici che altrimenti gli sarebbero preclusi, a chi pubblicizza presepi politicamente corretti per mostrare un'apertura mentale che poi, però, dobbiamo avere ogni giorno e a 360 gradi, a chi per vendere dolci natalizi utilizza il brand dei poveri, che in questi giorni (ma solo in questi giorni) va molto di moda, a chi piuttosto che niente mostra a tutti quanti, in ogni istante, ciò che fa e ciò che mangia, dalla colazione alla cena, salvo poi scagliarsi contro un mondo e una società che violano quotidianamente la nostra privacy... Non sono, questi, gridi disperati e nostalgici, urlati per invocare il ritorno di un mondo che non c'è più: sono appelli alla speranza di poter tornare a costruire un mondo più giusto e più vero a partire dall'insegnamento principale di Betlemme, ovvero il nascondimento e il silenzio. Se Dio, nonostante tutto quello che siamo diventati, non si è ancora stancato di nascere in mezzo a noi, forse ha ancora qualcosa da insegnarci: purché impariamo il silenzio di Betlemme. |