Omelia (07-01-2024)
Paolo Curtaz
Tu sei amato

Ancora un piccolo sforzo per fare in modo che questo Natale in bilico fra strazianti eventi di guerra e piccole beghe italiote, segni profondamente la nostra piccola vita.
Una vita inquieta, stanca, a tratti rassegnata e arrabbiata.
Con millemila ragioni per staccare la spina mentale, per rimanere nella piccola bolla che ci siamo costruiti per sopravviere alla (spesso tediosa) quotidianità che deprime. E noi qui, tenaci, come un piolo conficcato nel terreno, ad alzare lo sguardo, a custodire - tenacemente - la speranza, a vedere Dio che fa nuove tutte le cose, a saperle vedere.
Questo è tempo di credere, non di cedere.
E in questo tempo liturgico breve, il più breve, intasato di ricorrenze, arriviamo alla fine di questo breve tempo natalizio accogliendo l'Epifania e approdando al Battesimo.
Cercando, ancora e ancora, di coltivare il desiderio.
Desiderio di vivere, di ricominciare, di andare all'essenziale.
Di verità, di pace nel cuore e fra i popoli, di felicità accolta e custodita.
Di Dio.
Se ce la fate ancora, preparatevi ancora ad un wow.

Sui magoi
Siamo talmente abituati ad immaginarli, questi stranieri venuti da lontano montando dei cammelli, vestiti di seta e col turbante, da averli relegati nell'ambito delle pie favolette per bambini.
Eppure, a leggere bene il racconto, fatta la dovuta tara alla visione teologica e salvifica del buon Matteo, in questo racconto, nella logica di quanto ci siamo detti a Natale, i magoi sono fra i pochi ad avere accolto il Dio fatto uomo.
Anche se, in realtà, cercavano altro.
Il loro desiderio era quello di verificare l'ipotesi di un collegamento fra un qualche evento astrale e la nascita di un re in Giudea. Me li vedo, questi facoltosi e curiosi amici che scommettono su quale fra le loro teorie sia quella corretta. Me li vedo mettersi in viaggio scrutando il cielo (d'altronde la parola desiderio non proviene forse dal de-sidera, guardare le stelle?).
Poi lo stupore per il parapiglia creato alla corte del tiranno Erode e la notizia di un altro re da aspettare, di un'attesa legata alla fede, di una promessa messianica. E lo sconcerto. Fino al riapparire di quell'evento, di quella stella, che li ha condotti al cospetto di una madre e di un neonato.
Non sono devoti, i magoi, né particolarmente interessati alle cose dei preti.
Sono curiosi, sono scienziati, sono amici, sono disposti a mettersi in strada per andare a vedere.
Il desiderio li spinge. La curiosità di dare una risposta alle loro mille domande.
E trovano Dio.
(Vorrei proprio capire chi sono quei geni che contrappongono ricerca scientifica e fede!).
Vorrei imparare dai magoi ad alzare lo sguardo e ad uscire dal palazzo. Da ogni palazzo, anche da quello inutilmente devoto.
Curiosi si diventa.

Su Giovanni
È un prete, suo padre Zaccaria lo è, ma non frequenta il tempio.
È un profeta, ma non cerca discepoli e caccia la gente in malo modo.
È preso per il Messia, ma non accetta che lo si consideri tale.
Ha fatto della sua vita un'attesa. È l'immagine e l'emblema del giusto che attende la salvezza di Israele. Non vuole clamore, non vuole essere al centro dell'attenzione ma lo diventa, malgrado tutto. A Gerusalemme hanno lo splendore del ricostruendo tempio e i riti e i sacerdoti. Scendono nel deserto per udire una Parola sferzante ma vera in bocca ad un uomo scavato dal sole e dal digiuno.
Ha un desiderio: preparare il popolo ad incontrare il Messia.
Ama Dio con passione amorosa. Ama il popolo e lo scuote.
Questo Dio che è venuto nella Storia e che ha stupito anche lui. Dio non è mai come ce lo immaginiamo. Sempre oltre.
Vorrei proprio imparare dal Battista ad essere divorato dal fuoco interiore dell'amore di Dio. E amare la gente anche scuotendola, se necessario. E dare uno strumento di salvezza, come ha saputo fare lui con il Battesimo. E diventare capace, almeno un poco, di farmi abitare dalla Parola per diventarne voce.

Su Gesù

È un perfetto sconosciuto. Jeoshua ben Youssef di Nazareth di Galilea.
Si mette in fila con i penitenti, lui che non porta peccato con sé. Chiede perdono, lui che non sa cosa sia la colpa.
Solidale fin dal primo gesto, in mezzo, assieme, con gli altri.
Un gesto sconvolgente, che esprime il desiderio di Dio di salvare ogni uomo, mischiandosi con noi. Non ci salva dall'alto. Non ci salva con un molle e benevolo gesto di condiscendenza.
Si sporca le mani di fango, questo Dio.
E ci rivela, attraverso la voce del Padre: siamo amati, sono amato.
Da sempre. A prescindere. Senza condizioni.
Dio è contento di me, ai suoi occhi, come diceva papa Francesco, sono una meraviglia.

Vorrei imparare dal Signore Gesù a mischiarmi fra i peccatori, perché lo sono.
Senza giudicare, senza pretendere, senza deprimermi.
Vorrei imparare ad amarmi come Dio mi ama, a vedermi come egli mi vede, già fiorito, compiuto, realizzato. Vorrei non porre ostacoli, non lamentarmi, non cercare applausi o gratificazioni, perché sono figlio di Dio nel Figlio.
E alzarmi ogni mattina e indirizzare il mio pensiero a questa nuova, immensa, stordente verità: sono amato.
Non me lo merito, non ho fatto nulla perché ciò avvenisse. È accaduto perché Dio ha deciso di rivelarsi, di rivelarmi a me stesso.
Voglio lasciar fare nuove in me tutte le cose.
Magari riscoprendo quel grande segno di appartenenza a Lui che è stato il mio battesimo.
Quel giorno benedetto in cui sono stato immerso nella vita di Dio.