Omelia (06-01-2024)
padre Gian Franco Scarpitta
Manifestazione del dono di sè

Dio si è incarnato in un Bambino e questo è l'evento di maggiore rilevanza per noi tutti. Ma non sarebbe un avvenimento completo questo della nascita nella carne del Signore, se egli stesso non si fosse immediatamente manifestato, mostrando la sua vera forza e la sua vera onnipotenza.
Il Creatore di tutto l'universo non può non manifestare inequivocabilmente se stesso e restare così un Dio nascosto. E soprattutto non può nascondere la sua salvezza e la sua volontà di redenzione, motivata dall'amore per tutti noi. Ecco perché la celebrazione del Natale comprende anche questa liturgia odierna denominata appunto Epifania, cioè manifestazione. Anticamente associata alla celebrazione della Festa del Natale, con essa faceva in origine un tutt'uno. Adesso, dopo quindici giorni, chiude il tempo privilegiato in cui si venerava il mistero dell'incarnazione del Verbo.
Dio si è fatto uomo per salvarci e per condividere con noi la sua divinità e il fascino della sua immensa gloria, perché non è un Dio geloso delle sue prerogative di salvezza, ma piuttosto spoglia se stesso per umiliarsi a noi e farsi sottomesso e obbediente (Cfr Fil 2, 1 - 6) e per donarci la sua salvezza in un Bambino, prefigurato da Isaia, dalla Legge e dai Profeti.
Incarnatosi e facendosi uomo nel grembo di Maria Vergine, il Messia realizza le antiche promesse e si fa servitore dell'uomo per condurlo alla salvezza e per essere per lui via, verità e vita (Gv 14, 6).
E in questo si manifesta, raccogliendo attorno a sé innanzitutto i suoi stessi genitori, che nella formazione di una Famiglia Santa si sentono maggiormente vincolati con lui e fra di loro. Quindi chiama a sé i pastori, poi coloro ai quali questi parlano di lui, quindi anche raffinati sapienti che giungono fin dal lontano Oriente, perché un astro luminoso li ha attratti nel luogo in cui si trovavano. Osservatori dei fenomeni astrali, sottili ragionatori e dotti sapienti di filosofia naturale, nonché astronomi e interpreti di ogni vicenda umana a seconda della posizione degli astri (come i nostri fautori di oroscopi) non avevano probabilmente avuto cognizione alcuna di un Dio onnipotente personale quale quello professato da Israele e anzi rifiutavano ogni argomentazione relativa al sacro e al trascendente. Osservando però una stella, comprendono che quello non è un astro come tutti gli altri da loro studiati: rimanda a un mistero più affascinante e grandioso che li sovrasta e comprendono che, almeno nello spazio circoscritto di alcuni giorni, devono smettere di studiare per iniziare a viaggiare. Devono solo percorrere un vasto territorio, che non è soltanto quello geografico. Lo stesso Messia Salvatore li invita infatti anche ad viaggio nella profondità del loro animo, a un cammino di revisione dell'interiorità e di reimpostazione della loro vita, che non riguardi però la sottigliezza dei ragionamenti, ma che chiami in causa il cuore e la sensibilità. Accanto al viaggio fisico e territoriale, si avvicendano in un percorso interiore di conversione e di trasformazione che esalti l'umiltà come prima prerogativa.
Dio si manifesta a loro e a tutti noi offrendoci le ragioni per accogliere questa sua stessa manifestazione, delineandoci i vantaggi dell'alternativa da lui proposta alle false sicurezze materiali, consumistiche, egocentriche e specialmente alle proposte edonistiche e fuorvianti del mondo che degenerano nel vizio e nel peccato. Dio si manifesta mostrandoci anche i percorsi per poterlo raggiungere ai fini di poterlo semplicemente adorare e per adottare i suoi percorsi come unici criteri di vita. Nella fede accogliamo la sua presenza e la manifestazione della sua salvezza; essa è un aderire disinvolto e libero che tuttavia non si esaurisce con la sola accoglienza primaria. La fede è una risorsa che va coltivata nell'intensità del rapporto confidenziale con lo stesso Signore, alimentata dalla preghiera che ne è l'elemento di sostegno perenne; va ravvivata e spronata dalla meditazione, dalla contemplazione e in tutto questo non può mancare un comune denominatore irrinunciabile: l'umiltà. Umili e contriti, è possibile fare il primo passo di conversione e di concentrazione su ciò che è in effetti vero e duraturo, ossia sul Signore stesso che ci si manifesta. Di conseguenza è possibile credere e restare saldi nell'esperienza della vita. La fede incontra infatti non poche sfide nei nuovi itinerari di coesistenza sociale, affronta pericoli, tentazioni alla resa, ma quando sostenuta dal continuo rapporto confidenziale con Dio, vince ogni sorta di battaglia e trionfa. La sua vittoria è data dalla speranza che si origina in lei e dalla carità, che prorompendo da ambedue, rende testimonianza al mondo di entrambe le virtù.
Madre Teresa diceva che "E' Natale ogni volta che permetti a Dio di amare gli altri attraverso di te". Nella comunione con Dio che la fede, mossa dall'umiltà, ci concede ci sono tutti i requisiti perché il Natale possa protrarsi anche nel corso di tutti i mesi dell'anno, palesando a tutti il Dio Bambino manifesto per mezzo dell'amore vero e disinteressato. Amore di un Dio che, una volta incarnato,, non può che manifestarsi salvatore e donatore di sé.