Omelia (12-02-2006) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Quel che significa "Lo voglio, sii guarito" Anche oggi siamo invitati a riflettere sulle malattie fisiche conformemente a quanto ci veniva proposto la scorsa settimana. Se Gesù rende esplicito l'amore del Padre nei confronti di tutti gli ammalati affermando la sollecitudine e la misericordia divina verso coloro che soffrono nel fisico, in tutto questo egli mostra anche la sua supremazia da Figlio di Dio instauratore del Regno e di conseguenza anche la sua preponderanza sul male e sul peccato: ogni prodigio di guarigione ( come anche ogni altro miracolo) non è mai fine a se stesso ma è orientato ad annunciare lo stesso Gesù Cristo e la novità da lui apportata sul male e sulla morte: Cristo guarisce dal malessere fisico, ma non solo: vuole anche debellare ciò che sta alla base di tutti i mali che rendono ostili gli uomini nei confronti di Dio e fra di loro, generando malignità e discordia, cioè il peccato. Tale sua attitudine non può che comportare da parte nostra apertura del cuore perché il nostro rapporto con lui sia sempre più intimo e colloquiale, ma soprattutto un deciso e e radicale cambiamento della nostra vita che si orienti alla rinuncia al peccato, poiché Cristo è apportatore di novità, ne deriva che anche noi siamo invitati alla novità della comunione con lui nella rinuncia al male. Egli è guaritore del fisico, ma lo è anche dello spirito, e tale si qualifica in tutte le circostanze, ma specialmente nel caso di malattie gravi e irrecuperabili come quella della lebbra, che rendeva chiunque ne venisse affetto oggetto di ripudio e di allontanamento da parte di tutti: la situazione di chi ha contratto la lebbra per l'Antico Testamento non era certo fra quelle piacevoli, soprattutto a motivo della convinzione antesignana per cui siffatta infermità era conseguenza di una colpa grave commessa da parte della persona affetta o di qualche suo progenitore; il lebbroso era quindi considerato impuro perché colpevole di essere peccatore e per ciò stesso emarginato dal consenso sociale in cui viveva, e in più era tenuto all'osservanza di tutte quelle prescrizioni di cui alla Prima Lettura tratta dal Levitico, la più umiliante delle quali era senza dubbio quella di dover declamare in pubblico il proprio stato di impurità. Ecco perché l'atteggiamento di Gesù nei confronti di questo lebbroso di cui tratta il Vangelo odierno non può che definirsi dirompente: pur considerando la gravità della malattia in se stessa e le conseguenze di contagio che ne potevano scaturire, il Signore mostra un sentire del tutto differente rispetto a quello dei suoi contemporanei per quanto riguarda la persona del lebbroso che lo sta interpellando e non esita a comportarsi nei suoi riguardi nel modo in cui nessun altro si sarebbe comportato: peccatore o non peccatore, egli lo osserva, ascolta la sua richiesta umile e sottomessa "Se vuoi, puoi guarirmi", esterna la propria commozione e infine, noncurante delle possibilità di infezione contagiosa, addirittura lo tocca per lasciarlo libero dal morbo. Il che vuol dire soltanto una cosa: Gesù rimane affascinato dalla motivazione che ha spinto quel povero malato ad accostarsi a lui, cioè dalla sua fede nel Figlio di Dio che ama l'uomo e lo guarisce da ogni sorta di infermità spirituale oltre che materiale; così pure resta ammirato dalla richiesta implicita di aiuto affinché possa anzitutto svolgere in se stesso un'autocritica della propria fede, se è vero che questi si mantiene ben lungi dall'implorare la guarigione ipso facto ma domanda in primo luogo se il Maestro abbia trovato in lui tutte le condizioni necessarie per meritare di essere sanato. In altre parole, il lebbroso si sta esprimendo in questi termini: "Signore, se tu consideri la mia fede tanta e tale da poter ottenere la guarigione, allora guariscimi. Altrimenti, mantienimi nello stato in cui mi trovo." E vi è altresì un'altra domanda implicita nell'espressione "Se vuoi puoi guarirmi", che potremmo riassumere così: "Visto che la mia malattia deriva da un peccato grave commesso in precedenza, prima di guarirmi verifica o Signore che io possa meritare il perdono di tale peccato o comunque che la mia coscienza sia monda come vorrei fosse mondo il mio fisico". Ne deriva allora che l'atto di Gesù non vuole costituire un semplice atto di pietà o di elemosina nei confronti di un "tale" che improvvisamente gli è capitato fra i piedi, ma tende a gratificare un previo atteggiamento di conversione e di fede che adesso si mostra esplicito e per ciò stesso merita ricompensa: "Lo voglio, sii guarito". Anche ammesso che quel pover'uomo abbia peccato gravemente, Gesù afferma in questo caso che Dio è pronto alla riconciliazione e al perdono di fronte al pentimento e soprattutto che la sua misericordia di Padre è rivolta appunto a chi dal peccato è rimasto avvinto perché de peccato in fondo è rimasto vittima mentre obiettivo della redenzione e della salvezza sono appunto coloro che si sono perduti. La persona del lebbroso è profonda nella sua attualità. Essa racchiude infatti le evidenze di miseria e di abbandono che si verificano nel tessuto sociale dell'oggi, nel quale parecchia gente viene esclusa perché considerata poco più alla pari di questo povero lebbroso. Ci stiamo riferendo ai "peccatori" dei nostri tempi, che noi siamo soliti considerare con opportuna distanza tutelativa e non trattare alla pari di tutti gli altri per la loro appartenenza a contesti "altamente deprezzabili" come la droga, la prostituzione, l'omosessualità, la delinquenza. Ancora oggi, forti delle nostre presunte certezze di elevata formazione morale, non di rado noi si è soliti muoverci con attitudine di sospetto e di gratuito giudizio nei confronti di questa gente meschina e abbandonata che ha avuto la sola reale disgrazia di non essere stata compresa nell'ambito della considerazione degli uomini e di essere stata esclusa dal giusto orientamento; eppure è volontà di Dio che proprio tali categorie di persone vengano recuperate con urgenza soprattutto da parte di chi, come noi, ci definiamo Chiesa e comunità partecipe della stessa missione di Cristo e se da una parte è legittimo che si adoperi prudenza e discrezione per la salvaguardia della nostra tutela, dall'altra è da considerarsi ingiustificata ogni forma di avversione e di indifferenza nei confronti di questa gente. Probabilmente (anzi sicuramente) fra di loro vi saranno senza dubbio persone disposte ad un pronto ravvedimento e nella continua ricerca di un aiuto e orientamento valido per abbozzare un cammino di perfezione e di fede e non si può da parte nostra continuare a definirli "gli esclusi", ma rallegraci con il Signore quando anche uno solo di essi diventa nostra conquista. Fra gli impuri e gli allontanati di oggi non possiamo non comprendere neppure i barboni, i senza tetto e i miseri che continuamente ci ritroviamo sui nostri passi per le strade, quando non ne sopportiamo la presenza come anche gli immigrati quando vengano dalle nostre parti in cerca di aiuto e di considerazione e vengano da noi invece accolti come coloro che "danno fastidio perché tolgono lavoro" oppure come "quelli che sporcano". Sintomo che la nostra società, seppure cristiana affermata non ha forse abbandonato del tutto quella mentalità veterotestamentaria discriminante e artefice di esclusioni, fatta eccezione tuttavia per i singoli casi di lodevole impegno di numerose associazioni cattoliche il cui spirito di azione non può non essere tuttavia determinato se non dalla scaturigine dello stesso Signore Gesù Cristo, unico guaritore. Resta fermo in ogni caso che di fronte agli inquietanti casi di lebbra contemporanea si intraveda la necessità di una purificazione da parte nostra dalla tendenza a prevaricare sugli altri e a ritenrci migliori rispetto a tanta altra gente, come anche ad esercitare l'umiltà e la capacità di comprensione e soprattutto alla rinuncia al peccato... Mentre noi siamo soliti additare altri come peccatori, non dovremmo infatti scrutare noi stessi con maggiore intensità ai fini di rimuovere le lacune che carattrerizzano la nostra vita spirituale e di conseguenza la gestione dei nostri rapproti con gli altri? Non siamo chiamati ad operare un rinnovato slancio di revisione della nostra vita secondo l'ottica del Vangelo? E' indispensabile, ai fini di non nutrire pregiudizi o esternare illazioni e crituiche di sorta, che ci si disponga ad una continua conversione dal peccato senza presumere di non esserne avvvini o contaminati e appunto questa è una delle caratteristiche che ci richiede la Paroal di Dio, specialemente nello specifico dell'infermità della lebbra, come nel giorno di oggi. |