Omelia (21-01-2024)
diac. Vito Calella
Convertiti al “già ma non ancora” del Regno di Dio

Il racconto della conversone dei Niniviti, in seguito alla predicazione di Giona, è stato scelo in questa liturgia della Parola per illuminare in tre sensi il testo del Vangelo di questa domenica: in primo luogo vuole mostrare la forza efficace della Parola di Dio, che provoca la conversione; in secondo luogo rafforza l'invito a mantenerci in uno stato continuo di conversione di fronte all'opportinità di sentirci parte attiva del Regno di Dio, felici di aver scelto la sequela di Gesù Cristo come il bene maggiore della nostra libertà; in terzo luogo la proposta di convertirsi e credere al Vangelo vuole raggiungere tutti, senza escludere nessuno.
La forza efficae della Parola di Dio provoca la conversione
Nonostante il libro di Giona sia una "fiction didattica" (nel senso che non è una storia reale, ma un racconto edificante sull'immensità della misericordia divina rispetto alla logica del "premio o castigo" della teologia della retribuzione della tradizione deuteronomista), è impresionante constatare l'efficacia della predicazione del profeta: «Ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta» (Gn 3,4b).
Subito queste parole provocano la conversione di tutta la città, compreso il re (leggendo i versetti omessi di Gn 3,6-9).
La paura della morte e l'inconsistenza del tempo cronologico motivano l'efficacia immediata della Parola di Dio.
Dal racconto di Giona apprediamo che tutte le scelte condizionate dall'egoismo umano provocano distruzione, divisione e morte. L'ira dvina contro i peccati degli abitanti di Ninive non è altro che il lasciar accadere le conseguenze disastrose delle scelte egoistiche delle persone, affinché esse stesse si rendano consapevoli dei disastri provocati dal loro affidarsi all'idolatria del mettere al centro della vita il proprio "Io" o i beni di questo mondo, a partire dal denaro. Caduti nel fondo del pozzo delle loro scelte, la loro situazione disastrosa può diventare un'opportunità di riscatto, di rinascita, di vita nuova.
Dal testo della prima lettera di Paolo ai Corinzi (seconda lettura di questa domenica), apprendiamo l'inconsistenza del "kronos", cioè del tempo cronologico: «Passa la figura di questo mondo!» (1Cor 7,31). Tutto passa! Che senso ha assolutizzare il conto in banca, la propria autorealizzazione personale e professionale, i propri legami familiari e affettivi, se la vita in questo mondo è un soffio passeggero nella cronologia della storia?
Nel Vangelo di Marco è impressionante la reazione immediata dei primi quattro discepoli all'ascoltare la chiamata di Gesù: «Egli disse [a Simone e ad Andrea]: "Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini". E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, [...] E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui» (Mc 1,17-18.20).
La pienezza del tempo e la causa del Regno di Dio motivano l'efficacia della chiamata di Gesù e la risposta immediata dei primi discepoli, che, scegliendo di camminare dietro a Gesù effettivamente «si convertirono e credettero al Vangelo», incentivandoci a fare la stessa scelta coraggiosa.
Lo stato permanente di conversone perché il Regno di Dio è "già, ma non ancora"
L'evangelista Marco fa iniziare la missione pubblica di Gesù in Galilea con due annunci fondamentali e due imperativi o inviti rivolti oggi a ciascuno di noi: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15).
Alla fugacità del tempo cronologico della nostra esistenza terrena Gesù annuncia l'avverarsi della pienezza del tempo: «Il tempo è compiuto» (Mr 1,15a).
Non esiste soltanto l'inesorabile susseguirsi del "kronos", cioè dello scorrere dei secondi, dei minuti, delle ore, dei giorni, delle settimane, dei mesi, degli anni, della storia di questo nostro pianeta Terra, del cui tempo cronologico sperimentiamo solo un soffio.
Nella quantità cronologia del tempo si innesca la qualità dell'esperienza vissuta che ha un nome: Regno di Dio.
Potremmo dire, in altre parole, che il Regno di Dio è l'opportunità favorevole che dà la vera qualità alla nostra fugace esistenza terrena, tendenzialmente egoistica! Abbracciare la causa del Regno di Dio dà il senso pieno alla nostra vita. Gesù, unito al Padre nello Spirito Santo, è venuto ad offrirci l'esperienza del Regno di Dio per riempire di senso la fugace cronologia della nostra esistenza terrena. A ciascuno di noi è riservata la scelta di convertirci ad esso, credendo in questo lieto annuncio.
«Il Regno di Dio è vicino» (Mr 1,15b): la vicinanza del Regno indica la sua caratteristica essenziale di essere già in atto qui ed ora, ma non ancora giunto alla perfezione definitiva.
È la dinamica del "già ma non ancora" del Regno di Dio, che interpreta la profondità dell'espressione: «é vicino».
Ci viene da chiederci: «Che cos'è il Regno di Dio?». Precisando, potremmo domandarci: «Chi è il già ma non ancora del Regno di Dio?».
Il già ma non ancora del Regno di Dio è la missione pubblica di Gesù dalla Galilea fino al compimento della sua vita a Gerusalemme. Il Regno di Dio si identifica innanzitutto con la missione pubblica di Gesù. I quattro evangelisti, ispirati dall'azione illuminante dello Spirito Santo, ci hanno consegnato il riassunto della predicazione apostolica post-pasquale su Gesù di Nazareth. Egli inaugura il Regno di Dio Padre nella storia dell'umanità manifestandosi potente in parole (insegnamenti nuovi sull'amore gratuito, misericordioso e fedele del Padre) ed opere (i suoi incontri, le sue scelte e i suoi miracoli, segni della realizzazione storica del Regno di Dio). Ciò è già avvenuto nel tempo cronologico della storia e lo abbiamo preziosamente documentato nel dono del Vangelo quadriforme. Il non ancora di questa prima manifestazione del Regno di Dio nella missione pubblica di Gesù è l'evento della sua morte e risurrezione!
Esso è l'evento più importante della storia dell'umanità e dell'universo creato!
Questo evento si è già realizzato nella storia del mondo ed oggi il Regno di Dio si identifica con il querigma pasquale, centro della nostra fede (cfr. 1Cor 15,3-4). Il non ancora di questo Regno è la nascita della Chiesa, corpo del Cristo risuscitato, chiamata ad essere «germe e inizio del Regno di Dio» in mezzo ai popoli del mondo (cfr. LG n. 5). Qui siamo tutti coinvolti nella responsabilità di essere testimoni di relazioni di comunione fraterna, di pace e di giustizia, di gratuità e di rispesso dell'altro, a partire dalla nostra esperienza ecclesiale comunitaria.
Ma non è ancora il compimento definitivo del Regno.
Ci attende la soglia della nostra morte fisica individuale, il giudizio particolare dinnanzi al mistero di comunione e gratuità della Santíssima Trinità e il nostro ingresso nella comunione dei santi, in attesa della seconda venuta definitiva di Cristo risuscitato alla fine dei tempi e del giudizio universale.
La Parola di Dio dell'apostolo Paolo oggi risuona forte per ciascuno di noi: «Il tempo (kairós) si è fatto breve» (1Cor 7,29a).
Non possiamo lasciarci scappare l'opportunità di centralizzare la nostra vita in Cristo morto e risuscitato e vivere responsabilmente la nostra vocazione battesimale, crismale ed eucaristica stando nella comunità cristiana come membra vive del corpo ecclesiale di Cristo per donarci, con la nostra corporeità vivente, affinché i valori de Regno di Dio caratterizzino le nostre relazoni.
La pienezza del Regno di Dio avverrà nel giorno della parusia, alla fine dei tempi, quando Cristo apparirà come Signore dell'universo e consegnerà tutto al Padre.
Fare arrivare a tutti, senza escludere nessuno il «Convertiti e credi al Vangelo»
Siamo tutti coinvolti nella responsabilità missionaria di far arrivare a tutti la gioia della vita nuova promossa dal Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo. La Galilea delle genti, luogo principale della missione pubblica di Gesù e la città di Ninive, luogo simbolico di una umanità pagana e lontana da Dio, sono la sfida aperta al nostro essere missionari, discepoli di Gesù, «pescatori di quegli uomini e donne» ancora persi a causa dello loro illusorie e disastrose scelte egoistiche e delle idolatrie di questo mondo.