Omelia (28-01-2024) |
Paolo Curtaz |
Parole autorevoli Troppe parole intasano le nostre giornate. E troppe immagini, opinioni, suggerimenti, stimoli. In tasca teniamo un produttore perpetuo di notizie, aforismi, screzi, predicozzi. Manca un centro unificante, manca una Parola che sia autorevole, feconda, consolante e infuocante. Gesù parla con autorevolezza, la folla è stordita dal suo insegnamento così semplice e diretto. Accorgiti che Dio ti si è avvicinato! Questo è il messaggio che ha iniziato a diffondere ai confini della terra di Israele, facendo ripartire l'annuncio della Parola che l'arresto del Battista aveva temporaneamente interrotto. Marco annota lo stupore della folla, ammirata dall'insegnamento autorevole di Gesù, contrariamente a quanto accadeva con i predicatori di professione. La folla era abituata alle dissertazioni teoriche dei dottori della legge e degli scribi, che predicavano più per dimostrare la propria capacità dialettica e per far sfoggio di cultura che per illuminare il significato recondito della Tora. Discorsi e spiegazioni che, regolarmente, passavano ad una spanna sopra la testa degli uditori (fortunatamente oggi non è più così!...). La parola del falegname di Nazareth, invece, lascia interdetti: raggiunge il cuore, spalanca nuovi orizzonti, alleggerisce la vita. Ti viene voglia di ridere e piangere mentre lo ascolti, mentre racconta di un Dio che conosce i passeri e veglia su di essi. Gesù è riconosciuto autorevole perché parla per esperienza: il suo fecondo rapporto con Dio gli permette di indicare una strada di autenticità che colpisce profondamente, ieri come oggi, chi ha il coraggio di ascoltarlo veramente. Ascolta! Siamo invitati anche noi, nell'eccesso delirante di comunicazione che contraddistingue il nostro tempo, a fare ordine nelle troppe voci che sentiamo. Tuttologi, corsivisti, opinionisti, fino al discorso da bar, tutti veniamo strattonati per la giacca da mille idee e finiamo, il più delle volte, per non averne alcuna o per sposare quella che suscita maggiori consensi. L'autorevolezza di Gesù non ha nulla a che vedere con l'autoritarismo di chi impone una propria idea senza motivarla: parla dal profondo, parla con amore, mette l'uditore al centro del suo discorso perché davvero gli sta a cuore la salvezza e la felicità di chi accoglie la sua Parola. Gesù non condivide neppure quel triste atteggiamento, troppo diffuso oggi, di chi confonde la propria assenza di idee con la tolleranza e l'apertura mentale; troppo spesso facciaimo i conti con il distruttivo senso di smarrimento di chi non trova nessuna certezza in sé ma non intende ascoltare chi, prima di noi, si è posto le nostre stesse domande esistenziali. Io credo, e lo credo con forza, che Gesù può davvero dire una parola definitiva sull'uomo e su Dio e nel suo equilibrio, nel suo fascino, nella sua schietta e virile verità, nel suo amorevole desiderio di salvezza, trovo un punto fermo da cui partire per la mia ricerca. Dobbiamo essere realisti: nel troppo rumore diventa difficile udire l'impercettibile discorso di Dio, un Dio che - almeno lui! - non urla per farsi sentire ma ci invita, piuttosto, a rientrare in noi stessi. Senza silenzio la nostra vita muore frastornata dai troppi rumori, senza interiorità finiamo col non sapere neppure noi quali idee abbiamo, senza spiritualità il mondo che ci circonda ci possiede, come l'indemoniato nella sinagoga. Che c'entri con noi, Nazareno? L'indemoniato è l'emblema di tutte le obiezioni che ci impediscono di diventare credenti, la sintesi di una fede che può diventare diabolica, che divide invece di unire. Una fede schizofrenica, inutile, che non incide nella vita reale. È un buon praticante, l'indemoniato: frequenta la sinagoga, partecipa alla preghiera, professa la sua fede. Marco/Pietro ammonisce la comunità: il primo miracolo che Gesù compie nel primo vangelo è la liberazione di una visione demoniaca della fede che può abitare il cuore di chi vive nella comunità cristiana. Non esistono pericoli "fuori", ma "dentro" di noi, dentro le nostre scelte viviamo le contraddizioni della fede, dentro le nostre comunità abita la logica tenebrosa della divisione. L'affermazione del credente indemoniato è terribile: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». È demoniaca una fede che tiene il Signore lontano dalla quotidianità, che lo relega nel sacro, che sorride benevola alle pie esortazioni senza calarle nella dura quotidianità; è demoniaca una fede che vede in Dio un concorrente e che contrappone la piena riuscita della vita, con la fede: se Dio esiste io sono castrato, non posso realizzare i miei desideri, come pensava Erode lo sterminatore di bambini; è demoniaca una fede che si ferma alle parole: il demone riconosce in Gesù il Santo di Dio ma non aderisce la suo vangelo. Ecco tre rischi concreti e misurabili per noi discepoli che frequentiamo la sinagoga: professare la fede in un Dio che non c'entra con la nostra vita, un Dio avversario, un Dio da riconoscere solo a voce. Il primo annuncio di conversione risuona, in Marco, nella comunità dei credenti. Credenti credibili Siamo sempre tentati di trovare altrove, nel "mondo", i nostri nemici, i nostri avversari. Gesù, con maggiore realismo, ci dice di guardare dentro la comunità, dentro gli atteggiamenti che consideriamo scontati e ovvii: una religiosità solo devozionale, un'appartenenza solo esteriore, una fede solo intellettuale, ci impediscono una totalizzante esperienza di discepolato. Il rischio, diffuso e presente nella Chiesa del terzo millennio, nel nostro occidente che crede di credere, pasciuto e annoiato, è di una fede che resta chiusa nel prezioso recinto del sacro, di una fede fatta di sacri formalismi e di tradizioni, che però non riesce ad incidere, a cambiare la mentalità e il destino del mondo. Una fede che non cambia la vita, i rapporti in economia, in politica, nella giustizia, è una fede falsamente cristiana. Che non c'entra nulla con la vita reale, con i problemi che siamo chiamati ad affrontare, con la quotidianità. Non basta credere: anche il demonio crede, anch'egli sa bene chi è Gesù e, proprio per questo, sa che egli è venuto per distruggere le tenebre che abitano prepotenti il nostro mondo. Una Parola che fa unità Accogliamo la Parola liberatrice che, oggi, il Maestro rivolge alla sua comunità. Che la nostra fede contagi la vita, che illumini le scelte e il quotidiano. La Parola di cui ci nutriamo, insieme al pane eucaristico, ogni domenica, è una Parola autorevole, che ci spinge al cambiamento, che ci mette le ali, che illumina i nostri passi. Restiamo sereni, noi discepoli del Signore: lui ci libera da ogni tentazione, strappa da noi la parte oscura e distruttiva che ci abita, scioglie il dubbio, ci spinge alla fiducia e all'abbandono. Colui che solo ha una parola definitiva sulla Storia ci rende liberi da ogni laccio per poterlo riconoscere come Maestro e Signore. Perché ci ama. E, scoprendoci amati, scegliamo di amare.
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