Omelia (28-01-2024)
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COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di Francesco Botta

In questa quarta domenica del tempo ordinario la Parola ci mette di fronte a un aspetto affascinante della personalità di Gesù, che ci può aiutare a conoscerlo meglio e ad amarlo. Il vangelo infatti ci presenta Gesù che nella sinagoga di Cafarnao insegna di sabato. Il punto di partenza per capire il brano odierno è proprio qui: è sabato, giorno in cui gli ebrei si ritrovano nella sinagoga per pregare. È il giorno in cui ogni ebreo osservante è chiamato a osservare il riposo in modo rigoroso. In questo giorno non è possibile svolgere alcun tipo di sforzo. In questo contesto Gesù opera una guarigione. Insegna e realizza quello che dice. Tutti erano stupiti del suo insegnamento proprio per questo motivo: quello che dice non è distaccato da quello che opera e realizza. Tutti sono meravigliati. Davvero Gesù insegna lasciando il segno. Gesù si di fronte a un uomo posseduto da uno spirito impuro, un uomo che soffre, che è schiavo di uno spirito che non gli consente di essere libero. Un uomo che non riesce a uscire dalla sua situazione di dolore; un uomo che teme di essere per sempre schiavo di un male più grande di lui; un uomo che sembra aver perso ogni speranza. È in questa sua condizione che quest'uomo incontra Cristo. C'è solo una chiave che ci permette di capire come viene realizzata la salvezza per quest'uomo: l'amore di Dio. Gesù salva amando. Su questo punto vogliamo concentrare la nostra attenzione. Il vangelo di questa domenica ci presente una triplice sfaccettatura dello stile d'amore di Gesù.
Un amore che fa crescere. Il vangelo ci dice che Gesù insegna con autorità. Il suo non è un modo di insegnare come gli altri. È evidente, per chi lo ascolta, che c'è qualcosa in lui che altri non hanno. Si capisce al volo quando c'è una luce diversa in chi ci sta parlando. L'autorevolezza è sicuramente legata al fatto che c'è una coerenza di fondo tra le sue parole e quello che lui opera. La sua autorevolezza nasce probabilmente da un ulteriore fatto. I rabbini, per commentare il testo sacro, fanno riferimento alla propria scuola di pensiero, citando i propri maestri. Capita a tutti i docenti di citare i propri maestri e fare riferimento alla bibliografia su cui si è studiato. L'autorevolezza di Gesù nasce probabilmente dal fatto che lui non ha bisogno di citare i maestri, perché è lui il Maestro; lui è capace di parlare del Padre. È autorevole per questo. Il suo insegnamento è basato sul rapporto d'amore con il Padre. Questo insegnamento radicato nell'amore del Padre è un insegnamento che fa crescere. L'amore vero è quello che ci fa crescere, anche se crescere spesso fa male ed è difficile. Dio ama vederci crescere; non ci ha voluti bastanti a noi stessi e completi. Insegna amando e ama facendoci crescere.
Un amore che non è indifferente. Il secondo effetto dell'insegnamento e dell'amore di Gesù è l'attenzione alla persona. Non è indifferente al dolore e alla schiavitù esistenziale dell'uomo. Innanzitutto Gesù vede l'uomo che è posseduto da uno spirito impuro, ascolta il suo grido e si avvicina. Di fronte ha un uomo che è posseduto dal suo male, non riesce a vincerlo. Il Signore ascolta le parole contro di lui, non scappa di fronte all'accusa e allo sfogo di quest'uomo. Quando ci sentiamo sopraffatti dal male, nostro o delle persone che amiamo e che sono a noi vicine, ci troviamo a gridare a Dio e al mondo la nostra paura e la nostra paralisi: in tutto questo Dio non è indifferente. Gesù è severo contro il male: ‹‹Gesù gli ordinò severamente: taci! Esci da lui!›› (Mc 1,25). L'evangelista Marco ci racconta la dirompenza di Gesù di fronte a ciò che ci rende schiavi e ci fa male. È un intervento divino che viene in aiuto alla nostra condizione umana. Oggi il vangelo grida a ciascuno di noi che non siamo soli quando stiamo male. Il male più grande da cui il vangelo ci mette in guardia sono i tanti spiriti impuri che rischiano di prendere possesso di noi. Gli spiriti impuri sono la sfiducia, la chiusura in noi stessi, la tristezza, lo sconforto, l'illusione che nulla può cambiare e tanti altri ancora. Cristo non è indifferente a tutto questo e viene a dirci di fare silenzio in noi stessi e di lasciarci sconvolgere dalla sua presenza divina. Lo spirito impuro che urla conosce bene Gesù: ‹‹io so chi tu sei: il Santo di Dio›› (Mc 1,24). Non basta conoscere la dottrina, Dio desidera da noi l'amore. Non è indifferente al male dell'uomo e della donna, perché sa che questo male non ha l'ultima parola. L'amore non è mai indifferente ed è l'unico che può vincere il male.
Un amore che libera. Infine riconosciamo il terzo effetto dell'amore e dell'insegnamento di Gesù: la libertà. Ora l'uomo è libero di amare. L'amore di Dio fa sì che nessun male ci possegga. L'evangelista all'inizio del brano ci presenta un uomo posseduto da un male. Usando questa espressione Marco vuole indicare un male che rende schiava la persona. Quante volte stiamo male dentro e siamo convinti di non uscirne. L'amore vero, quello che Dio desidera per noi, è l'unico capace di liberarci da tutte quelle catene interiori, tutti quei nodi che non riusciamo a sciogliere da soli. La relazione con lui ci permette di sperimentare l'amore che libera. Tutto questo noi possiamo sperimentarlo entrando in relazione con la Parola e attraverso le persone che il Signore mette accanto nella nostra vita. Non bastiamo a noi stessi; Dio ci ha pensati relazionali. Solo l'amore salva e Cristo è venuto a dare voce e volto a questo grido che ci portiamo dentro.