Omelia (28-01-2024) |
don Alberto Brignoli |
Altro che “nuovo insegnamento”! Non è proprio così vero che l'esatta posizione delle parole, in una frase, sia qualcosa di poco conto. Sì, a volte - come avviene in matematica per i fattori - si possono invertire i termini, e il significato non cambia: se dico "quello è un bel bambino" e se dico "quello è un bambino bello", sostanzialmente dico la stessa cosa. Ma il brano di Vangelo di oggi ci dimostra il contrario. La gente, di fronte alla guarigione dell'indemoniato nella sinagoga di Cafarnao, esclamava presa da timore e meraviglia: "Che è mai questo? Un insegnamento nuovo!". Si badi bene: "un insegnamento nuovo". Che non è la stessa cosa che dire "un nuovo insegnamento". Se avessero detto "un nuovo insegnamento", quello che Gesù insegnava nella sinagoga non sarebbe stato altro che uno dei tanti insegnamenti degli scribi, i quali si succedevano nella sinagoga una volta terminato il loro servizio: un "nuovo insegnamento", uno nuovo rispetto a quello precedente, pronunciato da uno scriba nuovo, giunto da poco a sostituire il precedente (come noi, oggi, diremmo l'insegnamento o le omelie del "nuovo parroco"), ma sostanzialmente in linea con la tradizione che lo ha preceduto. All'inizio del brano, invece, Marco dice che la gente era stupita dell'insegnamento di Gesù, perché parlava come uno "che ha autorità, non come gli scribi". E già qui la cosa sembra strana, perché in realtà all'interno della sinagoga - nella quale ci troviamo - l'autorità più importante era lo scriba; era lo scriba che interpretava la Parola di Dio per il popolo e gli dava le direttive secondo cui bisognava camminare. L'autorità, allo scriba, era data dalla comunità che lo eleggeva: di Gesù, invece, la gente dice che "ha autorità", che non ha bisogno che gli venga data, perché ce l'ha di suo, gli è propria. E da dove gli viene questa autorità? Come si può dire di Gesù che "ha" autorità, che la possiede, che - diremmo noi - è "autorevole" in ciò che dice e in ciò che fa? Ecco, il "segreto" di Gesù sta proprio in questo: che è autorevole per il fatto che lo è in ciò che dice e in ciò che fa, che esprime la propria autorevolezza nella coerenza tra il proprio insegnamento e il proprio agire, il proprio operato. "Non come gli scribi": cosa significhi questo inciso, lo capiremo lungo tutto il Vangelo, quando Gesù più volte si scaglierà contro gli scribi perché "dicono e non fanno", perché sono bravi a interpretare la Parola di Dio a loro gusto e piacimento, ma non sono poi capaci di dimostrare ciò che predicano con l'esempio, con l'autorevolezza dei loro comportamenti. Per ora, ci accontentiamo di sapere che l'insegnamento di Gesù non è un "nuovo insegnamento", ma un "insegnamento nuovo", ovvero qualcosa di diverso, di innovativo, di stravolgente, di rivoluzionario. Perché mai, questo? Perché - sempre a detta della folla - è un insegnamento "dato con autorità, che comanda persino agli spiriti impuri e questi gli obbediscono". Lo stupore della gente è provocato, ovviamente, dal fatto che Gesù ha appena cacciato un demonio da una persona posseduta che aveva avuto la pretesa di rivelare a tutti chi fosse Gesù ("Io so chi tu sei: il santo di Dio!"). Gli scribi e le autorità religiose non accetteranno questa cosa, perché poco più avanti, di fronte all'ennesimo esorcismo, diranno che Gesù faceva questo in quanto "capo dei demoni", e non in quanto figlio santo di Dio: ma questo risponde alla logica dell'insegnamento "vecchio", del modo "vecchio" di vedere le cose, quello per cui un'autorità comanda ai propri sottomessi e questi le obbediscono proprio in quanto a lei sottomessi, come essi facevano con il popolo a loro affidato. L'insegnamento "nuovo", invece, è quello di Gesù, al quale obbediscono non solo quelli che gli sono sottomessi in quanto "suo" popolo, ma anche chi - come satana - è suo avversario, suo nemico. Ed è evidente che il nemico si sottomette al proprio avversario nella misura in cui è da lui sconfitto, ovvero dal momento in cui ne riconosce la superiorità non perché "obbligato" ma perché da lui vinto, da lui conquistato. La novità del messaggio di Gesù, allora, è proprio questa: che la gente lo ascolta e lo segue non perché obbligata dalla sottomissione a lui, ma perché conquistata dal suo messaggio, dalla sua coerenza tra parola e azione, dalla potenza della sua parola, che se è capace di conquistare a sé "persino gli spiriti impuri", a maggior ragione è capace di conquistare gli spiriti puri, i "puri di cuore", quelli che, alla fine, nella loro semplicità, sono i primi destinatari del Vangelo, dell'insegnamento nuovo di Gesù. La novità di Gesù, allora, non sta nell'adesione alle sicurezze della Legge e dei precetti insegnati dagli scribi nella sinagoga, cose che si dimostrano vecchie, obsolete, passate. La novità di Gesù è data dall'adesione al suo messaggio, un messaggio nuovo capace di conquistare anche le anime più dure, più lontane, più refrattarie. Un messaggio che non si rifà alla certezza della tradizione, ma che si apre (pur con tutti i timori del caso, che sono anche i timori della folla del Vangelo) alla novità di un modo diverso, nuovo, di sottomettersi a Dio: non più all'autorità dei suoi precetti, ma all'autorevolezza del suo amore, capace di conquistare anche gli animi a lui più avversi. Trasportato al giorno d'oggi, questo cosa ci vuol dire? Un insegnamento semplice semplice, che non mi stancherò mai di ripetere: l'attaccamento alla tradizione e al fare le cose che si sono sempre fatte, nello stesso modo di sempre, crea solamente sottomissione, chiude la mente e il cuore, e ci impedisce di incontrare la novità del Vangelo; la quale, forse, sconvolge, meraviglia, magari crea anche un po' di timore, ma di certo ti permette di fare un'esperienza di Dio più vera, perché non ti sottomette a lui sulla scorta di precetti da osservare senza fiatare, ma ti avvicina a lui attraverso la forza dell'unico precetto che il Vangelo ci insegna, quello dell'amore. Che non puoi mai essere basato sul "con te, Gesù, mi sento al sicuro perché io e te abbiamo sempre fatto così", ma sul "con te, Gesù, mi sento libero perché mi ami". |