Omelia (04-02-2024) |
Paolo Curtaz |
Il cortile Esce dalla sinagoga, il Signore Gesù. Ha appena guarito un indemoniato, il primo miracolo del primo Vangelo, per ricordare a tutti che la prima purificazione da fare deve compiersi all'interno della comunità, per superare una visione demoniaca della fede. Esce e si dirige nella casa di Pietro. Non è più la sinagoga, il luogo sacro, ad essere il cuore della nuova comunità di discepoli, ma la casa. Dio esce dal tempio per abitare e fecondare la quotidianità. La mia quotidianità. E noi, inguaribili simpaticoni, lo abbiamo chiuso a chiave dentro i tabernacoli. Così Marco inizia il suo Vangelo, andando diritto all'essenziale. Raccontandoci una giornata-tipo di Gesù, fatta di ascolto, di guarigioni, di liberazioni, di preghiera, di silenzi, di libertà interiore. Così, per capire come orientare l'anno appena iniziato. La suocera Gesù, entrando in casa di Piero, scopre che sua suocera è a letto, febbricitante. Si avvicina, la prende per mano e la guarisce. Lei, subito, si mette a servirli. Anche noi siamo come la suocera di Pietro: guariti per servire. Se il primo atto da compiere all'interno della comunità è quello di superare una visione demoniaca della fede, il secondo è quello di servire il Signore e i fratelli a partire dalle nostre ferite che diventano feritoie che lasciano passare la luce che abbiamo accolto. La comunità non è composta da gente sana, bella, forte, perfetta, esemplare. Ma da ammalati guariti. Da peccatori perdonati. Da persone fragili e impedite che in Cristo trovano guarigione e forza. Siamo dei guaritori feriti perciò siamo in grado di servire i fratelli. Senza giudicarli, senza criticarli, senza caricarli di sensi di colpa, pessima abitudine ancora troppo diffusa. Noi per primi, davvero, abbiamo sperimentato il peso delle malattie dell'anima. Lo sconforto, la paura, la solitudine, l'arroganza, la lussuria, l'egocentrismo, il narcisismo, l'indifferenza. E ne siamo stati guariti. O ne stiamo guarendo. Perciò siamo (potremmo essere) credibili: perché accogliamo senza giudicare, senza sentirci o apparire saputelli e arroganti. Sulla soglia La curiosità raduna una piccola folla nel cortile interno della casa della moglie di Pietro. Gesù non li delude ed esce dalla piccola casa del pescatore, si ferma sulla soglia e lì guarisce e libera. Esiste ancora quella soglia. La si vede visitando gli scavi archeologici della città di Cafarnao, davanti alla casa identificata (con alta probabilità storica) come la casa di Pietro. C'è ancora quella soglia: un lastrone di pietra fra due sponde di muro che dovevano contenere una semplice porta, unico accesso alla piccola costruzione. Il Dio dei confini, che cerca pescatori di umanità in un paesino di frontiera, sulla spiaggia, altro confine, ora si pone sulla soglia. La soglia che unisce pubblico e privato, sociale e intimo, folla e casa, sacro e profano. Non più la sinagoga e nemmeno più la casa, ma la strada diventa il luogo dell'annuncio e della guarigione. Ogni luogo, ormai, è diventato santo perché accoglie la presenza del Dio fatto uomo. Quando, profeticamente, il Papa parla delle periferie, probabilmente intende qualcosa del genere. Si tratta di allargare i confini mentali, anzitutto, uscire dalle piccole dimore dell'anima che poco accolgono e troppo respingono. Non restiamo chiusi nelle nostre sacrestie aspettando che la gente del quartiere venga a bussare. Usciamo là dove veramente vive la gente, nella contraddizione e nella fatica del quotidiano. Questa lunga e destabilizzante fase di incertezza, di guerra, di crisi globale, ci insegni a tornare a raccontare Cristo nelle case, ora che i nostri oratori si svuotano e le nostra attività pastorali sono ridotte al lumicino. È il cortile il luogo che ospita il Santo di Dio. Di notte La giornata è finita, ma non per Gesù. Si alza presto al mattino per andare a pregare, tutto solo. È questo il segreto del suo equilibrio, della sua forza, del suo carisma: il colloquio intimo e fecondo col Padre. Ha lavorato tanto, accolto e guarito. È stanco ma si è speso all'inverosimile. Lo può fare solo perché sa dove nutrirsi, perché sa come ricaricarsi, dove andare, a chi rivolgersi. La preghiera, la meditazione, il silenzio ci sono indispensabili per nutrire la nostra anima. Essenziali per non morire dentro. Cinque minuti di preghiera quotidiana possono cambiare molte cose. Non cambiano l'azione di Dio, convincendolo a concederci delle grazie, cambia il nostro modo di vedere tutto. E più la nostra vita è caotica e confusa, oberata e faticosa, e più ci è indispensabile dedicare del tempo alla nostra vita interiore, anche a costo di rubare qualche minuto al sonno. La preghiera ci rende liberi, la preghiera ci rende discepoli. Andiamocene! Simone raggiunge in Maestro e lo rimprovera. Galvanizzato dalla giornata precedente, vuole cavalcare l'onda, accrescere la fama del suo ospite, spingerlo a tornare a Cafarnao. È ansiosa, la sua ricerca. Non segue Gesù, lo insegue. C'è una venatura di rimprovero nella sua affermazione tutti ti cercano! Interrompe la preghiera del Maestro. Gesù non ci sta. Non tornerà a Cafarnao. Vuole andare altrove, oltre. Guai a chi cerca di tenere per sé il Vangelo. Guai a chi si illude di possedere Dio! Ecco, questa è la giornata del Signore. E del discepolo. Ci siamo scoperti (ci stiamo scoprendo amati). A prescindere. Guariti e sanati, condotti dal Maestro fuori dalla soglia. Come lui sappiamo dove attingere forza e luce. È tempo di amare, al massimo delle nostre capacità. Guaritori feriti, chiamati a servire gli uni la gioia degli altri.
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