Omelia (04-02-2024) |
fr. Massimo Rossi |
Commento su Marco 1,29-39 Continua il Vangelo di domenica scorsa: poche parole per descrivere un altro miracolo, la guarigione della suocera di Pietro. Ristabilitasi dalla febbre che la costringeva a letto, l'anziana donna prontamente si mette in piedi e comincia a servire il Signore, ospite a casa dell'Apostolo. Una prima morale della favola: il miracolo non è fine a se stesso, ma è da inquadrare nel contesto della sequela di Cristo: nel senso che colui, colei che ha ricevuto un dono dal cielo - il miracolo è indubbiamente un dono immeritato! - è (quasi) istintivamente mosso a restituire il favore operando il bene verso il prossimo, a cominciare da Colui che ha operato la guarigione, Cristo. Sulle giornate faticose del Maestro di Nazareth abbiamo già avuto modo di dire qualcosa otto giorni fa; come pure del tempo speso a parlare con Dio, una possibilità sempre a disposizione, quale che sia la mole di lavoro che dobbiamo affrontare... Nel racconto della guarigione della suocera di Simone risaltano due espressioni particolarmente significative: "la fece alzare..." e "si mise a servirli."; in forza di queste parole, il gesto del Signore assume una valenza simbolica di importanza singolare, non solo per i primi cristiani, ma anche per noi. Gesù (letteralmente) "fa risorgere l'uomo" per avviarlo sulla strada del servizio. E il servizio, lo sappiamo, è l'atteggiamento che più di ogni altro connota la persona del discepolo. Gesù guarisce in casa la suocera di Pietro, ma poi, a sera, riunitasi intorno a lui tutta la città, guarisce tutti i malati e gli indemoniati. "Non permetteva ai demoni di parlare, perché essi lo conoscevano.". Si tratta di una precisazione importante, che allude all'ormai noto segreto messianico. Non bastano i miracoli, non bastano gli insegnamenti,.... Ci vorrà la croce e la morte, perché Gesù diventi compiutamente il Cristo. Solo allora lo si potrà riconoscere e additare con quel titolo. Un altro particolare meritevole di riflessione è la ricerca di Lui da parte dei discepoli: trovatolo in un luogo solitario a pregare gli fanno notare che tutti lo cercano; ma Gesù reagisce a sorpresa: "Andiamocene altrove...", lasciando sconcertati i Dodici. Egli è venuto nel mondo per andare altrove. È sempre altrove. Non è venuto per una sola folla, ma per tutte le folle! Ma se Lui è sempre altrove, noi siamo costretti a mantenerci in modalità-ricerca, sempre. Nessuna folla può impadronirsi di Lui, trattenendolo; nessuno può vantare nei suoi confronti una precedenza, un privilegio. Neppure il clan della sua famiglia! Anzi, sarà proprio la sua famiglia a dargli l'assist per dichiarare: "Chiunque compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre." (3,31-35). In atre occasioni Marco usa l'espressione "sono venuto per...": la prima quando spiega che Gesù è venuto per i peccatori (cfr. 2,17); e con questa sentenza il Figlio del falegname abbatte il muro di separazione tra giusti ed empi, tra santi e peccatori. La seconda per dire che è venuto per dare la vita in riscatto delle moltitudini (10,45). Da qualsiasi angolatura la si osservi, la venuta del Signore ha sempre una valenza di universalità. In tutto il Vangelo di Marco il rapporto tra Gesù e la folla è a dir poco problematico e in un certo senso altalenante: Egli cerca le folle, ma, nel contempo mantiene le distanze. Una contraddizione? al contrario, il tentativo di esprimere la novità della Sua missione. Egli cerca le folle, certo, è venuto per loro; ma rifiuta gli stereotipi, gli equivoci della folla, i continui tentativi di strumentalizzazione. Gesù non è un trofeo da conquistare in uno stadio! Gesù non è il prigioniero di nessuno, neppure di un tabernacolo! È venuto a rivelare al mondo i misteri del Regno dei Cieli, non a realizzare i nostri progetti personali, e neppure comunitari, per quanto giusti e santi possano essere! È venuto "per andare altrove", non per fermarsi. E neanche la croce lo fermerà! |