Omelia (11-02-2024) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Nel dolore la morte e la resurrezione Il rapporto di Gesù con un lebbroso, affetto da quello che oggigiorno viene definito il "morbo di Hansen", del quale si conoscono anche le cause e le terapie anticontagio, collocato nel suo tempo ci suggerisce quello che doveva essere la concezione della malattia in senso globale. In altre parole, la lebbra per la sua gravità compendia ogni altra malattia esistente all'epoca di Gesù e racchiude anche il risvolto sociale che ad essa consegue. Se ogni malattia nella Bibbia è associata a un peccato commesso da chi ne è affetto, la lebbra indica un castigo divino particolare per il quale si è condannati ad essere impuri. Quando infatti sul soggetto compariva una chiazza o pustola di bianco, occorreva che questi andasse in giro con le vesti strappate e coprisse la sua persona fino al labbro, stesse lontano da ogni contatto umano e si allontanasse dal popolo gridando a tutti di essere impuro, come prescrive la prassi levitica (I Lettura). Il sacerdote decretava il suo stato d'impurità, imponeva al paziente un luogo periodo di isolamento e di purificazione e quando finalmente fosse guarito poteva consentirgli in ritorno in comunità. Per tutto il tempo della sua affezione doveva vivere da solo, fuori dall'accampamento, forse in qualche grotta o alloggio di fortuna, nutrendosi di tutto ciò che i suoi familiari, pur mantenendosi a distanza da lui, gli portavano di volta in volta. Secondo la mentalità del tempo e del luogo, come si diceva, il disturbo non riguardava un bacillo o un batterio insidioso che dal terreno poteva spingersi fino alle regioni cutanee del fisico, ma una punizione di Dio che oltre a colpire il corpo lenisce la reputazione del paziente, poiché sarà costretto a diportarsi con estrema vergogna al cospetto della famiglie e della società intera. Una punizione che Dio avrebbe riservato a questo genere di ammalati Se ne parla anche a proposito di Miriam, la sorella di Mosè, che viene colpita dalla lebbra dopo aver dubitato del Signore e mormorato contro li lui (Nm 12, 1 - 10) e in certi casi è espressamente definita una condanna per chi non osserva le leggi divine (Dt 28, 25 e ss.). In effetti Gesù, che dopo osserverà anche lui un periodo di isolamento, sembrerebbe rimproverare il soggetto per la sua condizione, se è vero che subito dopo lo "caccia" (secondo la versione descritta) e gli impone di recarsi al sacerdote per espletare i ritualismi prescritti. Anche se volentieri opera la guarigione dalla lebbra su questa persona, non gli risparmia redarguizioni e neppure lo dispensa dalle norme di rito. E' tuttavia certo che Gesù usa misericordia e attenzione nei confronti di questo personaggio, come già aveva fatto a proposito di altri lebbrosi e altri malattie. Lo guarda con attenzione superando le congetture tipiche di chi temeva la presenza di un lebbroso; gli usa familiarità, attenzione e lo riveste di quell'amore del quale la società del suo tempo lo deve per ora privare. Poicbè Gesù e il Figlio di Dio che è venuto a riscattarci dal peccato, a lui non è impossibile eliminare anche ciò che eventualmente ad esso è correlato, quindi anche le impurità e le malattie; nulla di strano quindi se interviene mostrando autorità sull'uno e sulle altre, così come un'altra volta aveva fatto sul paralitico calato apposta su un lettuccio davanti a lui. Gesù in ogni caso interviene sul dolore e sul malessere fisico anche a prescindere dal peccato, anche senza considerare questa possibilità di affinamento, perché guarda al malato solamente come sofferente, umiliato e sottomesso, costretto a rinunce e a provazioni e nella sua bontà e misericordia non può non mostrare premura nei suoi confronti. Avendo davanti chi sta soffrendo di un grosso male discriminante, Gesù non la da' vinta ai pregiudizi e alle illazioni ma impera sulla malattia, sul dolore e sulla morte. Se da parte del lebbroso c'è stata una disinvolta apertura nei confronti di Gesù Messia; se da pare di questo infermo si è manifestata fede eloquente e fiducia incondizionata (Se vuoi, puoi guarirmi), altrettanta amicizia, apertura e disinvoltura ha Gesù nei confronti di questo afflitto malcapitato, perché di immedesima nel suo dolore e nell'umiliazione a cui è costretto. Anche lui proverà dolore lancinante quando sarà appeso sulla croce e anche lui sarà oggetto di abbandono da parte di tantissimi dei suoi, perfino di apostoli come Pietro che avevano pur giurato di non abbandonarlo mai; anche lui oltre che impuro sarà maledetto dagli uomini poiché era concepito come "maledetto" chiunque pendesse dal legno (Dt 21, 22 - 23). Come non può allora far proprio il dolore di questa povera vittima con il suo dolore, volontariamente accettato in riscatto di tutti? Con la sua espressione "Lo voglio, sii guarito" anticipa per lui il riscatto dai peccati sulla croce e gli concede questo perdono implicitato; con il suo tatto, eseguito in luogo pubblico, alla presenza di tanta gente che certamente gli usa pregiudizi e riprovazioni, Gesù gli annuncia già sin d'ora il necessario passaggio dalla morte alla vita per sempre. In qualsiasi malessere fisico sopportato da ogni uomo di ogni tempo, è Gesù stesso che soffre rinnovando i parimenti della sua croce nelle nostre membra e intanto nell'accoglienza della malattia noi completiamo ciò che manca alle sofferenze della croce a vantaggio non solo di noi stessi ma di tutta la chiesa e di tutta l'umanità: "Sono lieto delle sofferenze che soffro per voi e completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la chiesa."(Col 1, 24). La malattia certamente è sempre un fastidio da esorcizzare, specialmente nelle forme più tragiche e nefaste. Nulla sarà mai abbastanza per sconfiggere le varie infermità ancora esistenti nel mondo, che colpiscono soprattutto vittime innocenti come i giovani e i bambini, molti dei quali sottratti alla baldanza e all'entusiasmo e costretti a dipendere dagli altri per colpa della paralisi o della sclerosi multipla. La malattia e la sofferenza sono sempre abominevoli in se stesse e costituiscono un'ossessione da cui liberarci, anche perché di certe malattie non si muore ma senza assistenza è impossibile vivere. La fede nel Signore morto e risorto che trionfa sul dolore e sulla morte, la speranza in lui e la perseveranza nel radicarci nella sua parola, ci sono però di supporto a sopportare qualsiasi malessere fisico e ad alleviarne il dolore e la difficoltà. Credere, pregare e sperare sono elementi che aiutano e risollevano in presenza del dolore e anche quando non ci concedono i miracoli e le grazie sperate, donano forza e vigore nella prova e nello sconforto. La fede in Gesù crocifisso e risorto dischiude anche alla comprensione del senso del dolore e della morte, perché ci ravviva la certezza della preziosità della salute che concepiamo come tale solo quando ci viene a mancare. Affidiamo oggi all'intercessione della Madre di Dio venerata nel suo Santuario di Lourdes tutti coloro che soffrono di ogni gravame fisico, perché Maria stessa possa consolarli con la speranza che deriva dalla croce, rincuorarli nella considerazione che il loro malessere è utile anche al riscatto e alla redenzione di molti. E nulla vieta che, premessi tutti i requisiti della fede e della speranza, agli ammalati possa essere concesso anche qualche miracolo o straordinario segno di guarigione. |