Omelia (29-01-2006)
Omelie.org - autori vari


* Le tre letture ci fanno contemplare in questa domenica il mistero del parlare di Dio. Questa affermazione attraversa la Scrittura dall'inizio alla fine, e costituisce il legame delle tre pagine proclamate oggi: Dio ha parlato, anzi parla sempre. L'invito è oggi a comprendere che il parlare di Dio è atto di potenza, evento creatore, capace di cambiare le cose: la sua Parola è infatti comunicazione della sua stessa vita, non rivelazione di verità, di dottrine nascoste, di misteri celati. Il nostro rapporto con Dio nasce dunque dal suo desiderio di comunicare con noi, di far fiorire la sua vita in una parola che possa incontrare il nostro orecchio. Ma proprio per questo, perché è Dio che vuole venirci incontro, non dirci delle cose ma donarci se stesso, creare un incontro tra la sua libertà e la nostra libertà, allora l'atto del parlare di Dio è paradossalmente forte, fortissimo, e insieme debolissimo. E' forte perché ciò che esce dalla bocca di Dio è la sua stessa potenza infinita, non altro. Ma è atto debolissimo, perché l'essere personale di Dio ci viene incontro per amore, nella ricerca di una ospitalità da parte della nostra vita, del nostro essere. Parlare per Dio vuol dire rischiare, affidarsi alla possibilità di una accoglienza libera da parte di coloro a cui si rivolge, da parte nostra. Egli parla a coloro di cui cerca la libera corrispondenza.

* Questo gioco tra potenza e rischio inizia ogni volta, di nuovo, quando la Parola di Dio viene conosciuta, letta, meditata, o anche proclamata, come facciamo nelle nostre assemblee domenicali, e questo Soffio divino aleggia sulle acque della nostra povera capacità di ascolto, a volte così magmatica, confusa, attendendo una casa, perché di nuovo possa accadere che tutto venga ricreato. In tutte e tre le letture è possibile intravedere questo gioco tra forza e debolezza, tra il Dio che crea e ricrea sempre tutto quando trova un orecchio aperto e l'uomo che deve decidersi all'ascolto. Nella terza lettura, la pagina marciana, da un lato si dice che la parola di Gesù è efficace contro il male: "Sei venuto a rovinarci!", gridano i demoni di fronte all'insegnamento del Signore nella sinagoga. E allo stesso tempo l'evangelista non ha paura a dirci che quella parola suscita timore, e incertezza: "Che è mai questo?".

* E Paolo, nell'insegnamento ai cristiani della comunità che ha fondato a Corinto, mette tutto se stesso nelle parole che rivolge loro nel nome della missione ricevuta da Dio, non ha paura ad affermare con perentorietà che parla per il bene dei fratelli, ma non può che terminare affidandosi alla libertà della loro adesione libera, tentando di convincerli che ciò che dice non lo dice per altri motivi, che non vuol tendere loro nessun laccio ma solo aiutarli a tenersi uniti al Signore senza distrazione. Paolo, l'apostolo delle genti, colui che ha traversato tutto il Mediterraneo acceso dal fuoco della Parola della predicazione, in realtà non può che... tentare di convincere!
E anche Mosè, nell'oracolo contenuto nella I lettura, deve fare i conti con la paura di Israele di ascoltare la voce di Dio, perché non muoia. Ma non può rinunciare a fare al popolo la promessa che Dio non farà mai mancare la sua parola, e che il suo amore saprà suscitare profeti, persone che parlino nel nome del Signore, anche se questa presenza sarà sempre difficile da decifrare, e la parola dei veri profeti si mescolerà a quella dei profeti falsi, di coloro che non faranno nascere il loro dire da un ascolto personale ed autentico, obbediente, della voce di Dio, ma da idee e intenzioni proprie.

* Perché la potenza della Parola di Dio è anche, contemporaneamente, debolezza? Forse possiamo intravedere una risposta a questo paradosso se torniamo al centro della nostra fede: il cristianesimo si raccoglie intorno al mistero dell'Incarnazione, in quell'evento per il quale la Parola di Dio, la Parola ineffabile che da sempre lega nell'amore e nella comunicazione il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, è diventata parola umana, è entrata nella trama del nostro modo di comunicare, per poterci coinvolgere ed averci come partner. E questo intreccio di "debole forza" è proprio ciò che caratterizza la comunicazione tra di noi. Essa è sempre evento ricco e povero, forte e debole, bello e rischioso. Lo sappiamo tutti, quando ci guardiamo negli occhi e lasciamo che le nostre parole consegnino all'altro parti di noi, pezzi della nostra vita, sperando che chi ascolti sappia cogliere il desiderio di comunione che stiamo mettendo in ciò che stiamo dicendo. Avviene questo tra un uomo e una donna che si stanno conoscendo e iniziano a parlare perché il viaggio dell'unione tra di loro inizi. Avviene tra un genitore e il proprio figlio, al quale si consegnano parole che nascono dall'esperienza e dal desiderio di aiutarli a vivere, e devono però fare i conti con la crescita della maturità di chi sta ascoltando mettendo in conto anche di dover resistere all'assenza di un tale ascolto maturo, senza perciò cessare di parlare e di amare il proprio figlio incapace di ascoltare.
E' così tra due amici, e tra maestro e discepolo, è così persino con chi incontriamo per caso, magari una volta soltanto nella vita. Uno parla, e spera di essere ascoltato.

* Gesù entra nella sinagoga di Cafarnao e parla. Quella parola, insieme alla volontà di comunione di cui è portatrice, fa arretrare la presenza del male. Gesù può dire: "Taci!" a Satana. La parola di Gesù è divina, è forza che esce da Dio stesso e che dà concretezza e luogo alla sua volontà di far vivere ogni cosa incessantemente. Ecco perché chi non è animato dallo stesso desiderio di vita, Satana, deve arretrare. Forse ciò che ancora oggi può dilatare i confini del regno di Dio, facendo arretrare quelli del regno del male, è proprio la capacità di scambiarci parole vere, nelle quali pulsi la nostra vita, e non le nostre menzogne. Tra noi e gli altri, tra noi e Dio, ma anche tra noi e noi stessi, in ciascuno di noi, all'interno della nostra stessa coscienza, esistono spazi che hanno bisogno di essere colmati, distanze che devono essere accorciate, confini che devono infrangersi. In questi vuoti può insinuarsi, misteriosa e terribile, anche la presenza del male. Oppure possono infilarsi le nostre parole, ponti gettati per creare legami, che saranno veri se vere sono le parole che ci diciamo. Deboli, ma vere.

Commento a cura di don Gianni Caliandro