Omelia (18-02-2024) |
Missionari della Via |
In questo tempo di Quaresima ci associamo a Gesù che, nel deserto per quaranta giorni, viene tentato dal maligno. Questo tempo di ascesi è un tempo di grazia che ci è offerto per aiutarci a superare le nostre mancanze di fede e resistenze nel seguire Gesù. Anche noi siamo chiamati a riscoprire il deserto come dimensione essenziale per l'anima, digiunando un po' di più, non solo dal cibo ma anche da rumori e attività secondarie per ritrovare il contatto con noi stessi. Si tratta di prendere contatto con quel "vuoto" che tante volte tentiamo di riempire in vari modi, fuggendo da noi stessi, dalle nostre ferite, dalle nostre paure. Fatichiamo a stare in silenzio, senza scorrere compulsivamente post e immagini sui social, o senza ascoltare musica. Fatichiamo a ritagliarci uno spazio per pregare, per leggere, per meditare, per verificare a fine giornata come abbiamo vissuto, quali pensieri e sentimenti abbiamo alimentato e verso cosa stiamo camminando. Corriamo, pensando che il fare sia più urgente dell'essere. E fatichiamo a stare nelle situazioni difficili, complesse, in quelle pieghe della storia che richiedono sacrificio, attesa, pazienza. E così, anziché "stare", fuggiamo, corriamo, ci ingozziamo di tante cose che lasciano il tempo che trovano, finendo per vivere alienati, connessi con il mondo ma sconnessi da noi stessi. Non dobbiamo aver paura di scendere in profondità: il nostro cuore non è un vuoto abbandonato ma un vuoto abitato, perché è proprio lì che possiamo incontrare il Signore, il cui Santo Spirito è venuto ad inabitarci per mezzo del battesimo. Possiamo passare la vita scappando da noi stessi, cercando di mettere pezze qui e lì o lasciarci incontrare proprio lì, in quelle cose che ci fanno soffrire, in quelle cadute ricorrenti, in quegli atteggiamenti "particolari" che mettiamo in atto, il più delle volte cercandovi felicità o, più profondamente, scappando da qualcosa che ci spaventa o che ci fa soffrire.
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