Omelia (18-02-2024)
don Alberto Brignoli
Pensare di fare a meno di Dio? Pericolosissimo!

Il cammino domenicale di Quaresima inizia, come da antica tradizione, con la lettura del Vangelo delle Tentazioni. E quest'anno lo leggiamo nella versione di Marco, che ce le presenta - secondo il suo stile scarno ed essenziale - con pochissime parole, in meno di due versetti. Nelle narrazioni di Luca e di Matteo, l'episodio è raccontato in maniera più elaborata: il dialogo tra Gesù e il tentatore si fa avvincente, drammatico, con elementi scenografici di sicuro effetto (prima il deserto, poi il pinnacolo del tempio, poi l'alto monte, con Satana che se ne va e promette di tornare al tempo fissato); e poi, ci sono i continui riferimenti alla Parola di Dio, sia da parte di Gesù, sia da parte del nemico, che denota di conoscere bene Dio e tutto ciò che lo riguarda. In Marco, nulla di tutto questo: e allora si ha la tentazione di pensare (a me, perlomeno, capita così) che la sua narrazione dica e insegni poco o nulla riguardo al tipo di prove che Gesù deve affrontare nella sua vita.
Già, è proprio una tentazione, quella di considerare alcuni brani della Parola di Dio poco incisivi, poco "interessanti". E quindi, diventa più facile andare alla ricerca di brani accattivanti, di testi più semplici o più stimolanti: cosa che facciamo puntualmente, soprattutto noi "addetti ai lavori". Eppure, uno degli impegni del nostro cammino di Quaresima credo sia anche quello di entrare in contatto stretto, costante, con la Parola di Dio, anche e soprattutto quando costa fatica, quando non ci piace, quando preferiremmo ascoltare o leggere brani della Bibbia che riteniamo più consoni alle nostre esigenze. Infatti, tra i grandi pericoli (ma chiamiamole pure tentazioni) nel nostro rapporto con Dio c'è anche questo: ascoltare di lui e da lui solo ciò che a noi piace, ciò che a noi conviene, ciò che ci torna utile, in una sorta di tentativo di "tenere in pugno Dio".
E probabilmente, questa è stata, lungo tutta la sua vita, pure la grande tentazione di Gesù: sfruttare il suo essere Figlio di Dio per sostituirsi al Padre, per assumere notorietà, per "essere come Dio", facendo a meno di lui. E in questo, nessuno, meglio di Marco, descrive la figliolanza divina come caratteristica fondamentale di Gesù: sin dal primo versetto, per poi arrivare a proclamarlo sotto la croce per bocca del centurione romano, il suo Vangelo ha come scopo quello di annunciare che Gesù non è solo un grande profeta, ma il Figlio di Dio, e la narrazione delle tentazioni nella versione di Marco, in questo è di straordinaria ricchezza.
I concetti fondamentali che Marco esprime sono due: è lo Spirito che "sospinge Gesù nel deserto", dove "stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano". Colpisce la "violenza" con cui lo Spirito fa questo "subito dopo" il Battesimo nel Giordano, in cui Gesù viene proclamato da Dio "suo Figlio amato e prediletto": è come se lo Spirito, per evitare che Gesù si sentisse autorizzato a fare da sé in quanto "eletto", lo obbligasse a ritornare al suo rapporto originario con Dio, che Marco descrive attraverso l'identificazione di Gesù con Adamo, l'uomo dell'Eden, che viveva in piena armonia e senza alcun pericolo in mezzo alle bestie selvatiche ed era in tutto e per servito e riverito da Dio attraverso un legame fondamentale con lui, fin quando Adamo decide di fare a meno di Dio, guarda caso proprio in seguito a una tentazione.
Ecco la tentazione da cui Dio vuole che suo Figlio stia in guardia: quella di fare a meno di lui in virtù del suo potere e della sua fama, e i miracoli che da subito Gesù compie nel Vangelo di Marco e che abbiamo ascoltato nelle scorse domeniche - la liberazione dell'indemoniato, la guarigione della suocera di Pietro e di tutti i malati, la purificazione del lebbroso - rischiano di farlo cadere in questa tentazione. Che è poi la stessa tentazione da cui noi stessi dobbiamo guardarci: quella di fare a meno di Dio, o comunque di servirci di lui, di prendere di Dio solo ciò che vogliamo, ciò che a noi serve, ciò che ci fa comodo.
Allora, "il tempo compiuto", ovvero l'imminenza del Regno di Dio che Gesù da subito annuncia, dopo la fine della profezia del Battista, ci sospinge a ritrovare il nostro originario rapporto con Dio, a mettere in atto una conversione che ci porti a riscoprire il nostro rapporto di figliolanza con Dio sempre, e non solo quando ci fa comodo o serve a raggiungere i nostri obiettivi.
Usare Dio per i nostri scopi, usare la sua Parola solo quando ci fa piacere, usare il Creato per esercitare su di esso il nostro dominio, sono solo alcune delle grandi tentazioni e dei grandi pericoli della nostra vita di credenti.
La Quaresima ci dà una mano a ricreare quell'alleanza che Dio fece con Noè dopo il diluvio, e che noi siamo continuamente tentati di infrangere per via del nostro desiderio di indipendenza e di onnipotenza. Del resto, sia pur con tutte le grandi capacità scientifiche e con le grandi innovazioni che oggi ci vengono offerte da questa famigerata "intelligenza artificiale", capace di riprodurre qualsiasi cosa, foss'anche un enorme arcobaleno in cielo, non dimentichiamoci che il primo "arco sulle nubi", segno dell'alleanza ritrovata tra il cielo e la terra, non lo ha dipinto un algoritmo, bensì - per dirla con il Sommo Poeta - "l'Amor che move il sole e l'altre stelle". E che in questa Quaresima sarà il caso di andare a riscoprire.