Omelia (25-02-2024) |
don Alberto Brignoli |
Abitare il silenzio "Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?". Se Dio ha sempre dimostrato di stare dalla parte dell'uomo, al punto da farsi uomo egli stesso, come può l'uomo pensare che Dio sia suo antagonista, suo avversario? "Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?". Se Dio ha sempre voluto per l'uomo ciò che è bello e ciò che è buono, come può l'uomo immaginare che Dio cambi parere e gli si rivolti contro? Paolo nella lettera ai Romani fa questi pensieri in chiave positiva: Dio è buono, non può che volere il bene, e proprio per questo motivo non può stare contro l'uomo dalla parte del male. Anche Abramo fa gli stessi ragionamenti, ma l'esperienza che egli ha di Dio nell'episodio del sacrificio di suo figlio Isacco non può dirsi altrettanto positiva. Se Dio è "per l'uomo", come può chiedere ad Abramo questa cosa così terribile di sacrificargli il suo unico figlio, promessogli e donatogli in maniera così miracolosa da lui stesso? Perché Dio fa così con Abramo - e spesso anche con noi - mostrandosi allo stesso tempo buono e terribile, amabile e incomprensibile, affascinante e tremendo? Perché Dio in alcuni momenti è una fonte inesauribile di gioia e di entusiasmo e in altri momenti diviene fonte di dolore, di paura, di rassegnazione? Perché Dio è, al tempo stesso, croce e resurrezione? Non sarebbe più facile avere un Dio sempre splendente, come quello della Trasfigurazione, senza la necessità, al tempo stesso, di entrare nella nube del mistero e dell'incomprensione, che è spesso accompagnata da grandi sofferenze e soprattutto da un enorme silenzio? Certo, avere un Dio "splendido e splendente" renderebbe tutto più facile. Ma non sarebbe fede vera. Se la nostra fiducia in Dio non fosse il risultato di un cammino che, anche attraverso l'esperienza del dolore e della fatica, ci cambia e ci trasfigura a sua immagine, non potremmo dire di credere veramente in lui. Se la nostra fede fosse solamente illuminata dalla luce gloriosa della Domenica di Pasqua evitando l'oscurità del Calvario, non saremmo onesti con Dio, e nemmeno con noi stessi e con la nostra esistenza quotidiana, fatta di chiaroscuri, di parole rassicuranti e di silenzi insopportabili. Eppure, questa nostra fede cristiana, qui come in altre occasioni, non fa altro che ricordarci ciò che avviene nell'esistenza quotidiana di ognuno di noi: ovvero, che non c'è croce senza resurrezione. Nessuno di noi, per quanto successo possa avere avuto nella vita, può dire di aver realizzato i propri progetti senza sofferenze, fatiche e sacrifici: se fosse così, ciò che si è costruito è falso, illusorio, o forse addirittura disonesto. Così come è disonesto pretendere che Dio ci mostri solo il suo aspetto glorioso e di luce, perché ci fa sentire bene, come Pietro, che vorrebbe fermare il tempo costruendo tre capanne. Oppure - se vogliamo dirla in positivo - pensare che una vita fatta di sacrifici onesti e di fatiche finalizzate alla costruzione del bene per sé e per i propri cari non possa essere accompagnata anche da gioie e soddisfazioni, significa vivere senza speranza. Insomma, il gioco della vita ti trasfigura, in tutti i sensi, nel bene e nel male, nelle gioie e nei dolori, nei successi e nei tracolli. Anche tutte queste crisi belliche e umanitarie che a livello globale ci stanno facendo vivere immersi in una terza guerra mondiale "a pezzi", come la chiama papa Francesco, senz'altro ci stanno trasfigurando rendendoci tutti più "cattivi", più "arrabbiati"; ma ci possono trasfigurare anche positivamente, aiutandoci ad andare all'essenziale, ad assumere meno maschere e a essere più trasparenti, più veri, più limpidi. La "novità" del messaggio cristiano rispetto al modo puramente "umano" di affrontare la vita sta proprio nella presenza del Figlio di Dio in mezzo a noi e insieme con noi nel momento della prova, del buio e del silenzio. Gesù Cristo non ci lascia da soli, nel momento in cui dobbiamo salire su un alto monte, e nemmeno nel momento in cui veniamo avvolti dalla nube dell'incomprensibile: rimane con noi e ci mostra, contemporaneamente, la fragilità della nostra esistenza e la luce gloriosa che accompagna i nostri successi. Entrare nella nube del mistero di Dio, come Pietro, Giacomo e Giovanni sull'alto monte del Vangelo di oggi, fa parte del gioco della vita e del gioco della fede, senza il quale non possiamo comprendere il mistero di Dio. E il mistero di Dio non è solo angoscia e preoccupazione: è anche fascino allo stato puro. Come quando a piedi ci si inoltra in una foresta inesplorata e si sentono voci poco rassicuranti, ma intanto si sperimenta la bellezza di una natura rigogliosa; come quando si cammina a luci spente nella notte e si rischia di cadere, ma si riesce anche a vedere meglio le stelle brillare in cielo; come quando si affronta un difficile intervento chirurgico con timore e preoccupazione, ma poi la nostra salute ne trae beneficio; come può essere l'imminente parto di una giovane madre, che è motivo di angustia ma anche espressione di vita piena. Anche questo, e non solo il dolore, ci trasfigura a immagine di Dio. Il segreto per vivere bene questa esperienza? Abitare il silenzio, perché è solo nel silenzio della nostra vita che può risuonare la voce di Dio: "Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!". |