Omelia (17-05-2003)
padre Lino Pedron
Commento su Giovanni 14, 6-14

Dal tema del viaggio verso la casa del Padre, Gesù con naturalezza passa a parlare della via. Per giungere al Padre bisogna passare per il Figlio.

Tommaso desidera concretezza e chiarezza nei discorsi. Egli aveva capito che Gesù parlava di una via nel senso materiale di strada, mentre Gesù sta parlando della via come mezzo per giungere a Dio, come strumento per mettersi in contatto personale con il Padre. Per questa ragione, nella sua replica all'apostolo, Gesù proclama di essere la via per andare verso Dio.

Gesù proclama di essere il mediatore per mettersi in contatto personale con il Padre. Nessuno può arrivare a Dio con le proprie forze né può servirsi di altri mediatori. Le parole di Gesù escludono qualsiasi altra mediazione all'infuori della sua (v.6).

Come nessuno può andare verso il Cristo se non gli è concesso dal Padre (Gv 6,65), così nessuno può giungere al Padre senza la mediazione di Gesù.

Gesù proclama anche di essere la verità e la vita. Egli si identifica con la verità, cioè si proclama la rivelazione personificata di Dio.

Le tre parole via, verità e vita sono applicate al Cristo per indicare le sue tre funzioni specifiche di mediatore, rivelatore e salvatore. Gesù è l'unica persona che mette in rapporto con il Padre, che manifesta in modo perfetto la vita e l'amore di Dio per l'umanità e comunica al mondo la salvezza che è la vita di Dio.

Solo Gesù può condurre l'uomo a Dio, perché egli solo vive nel Padre e il Padre vive in lui. Perciò chi conosce Gesù conosce anche il Padre e chi vede Gesù vede anche il Padre.

L'intervento di Filippo riecheggia la domanda di Mosè rivolta al Signore: "Mostrami la tua gloria" (Es 33,18). Gesù gli risponde che egli vive nel Padre (vv 9-10). L'apostolo avrebbe dovuto sapere che Gesù è una sola cosa con il Padre (Gv 8,24.28.58; 10,30.38; 13,13). Di conseguenza, vedendo Gesù si vede il Padre (v 9).

Data questa mutua immanenza del Padre e del Figlio, le parole dette da Gesù in realtà sono pronunciate dal Padre che dimora in lui e le opere da lui compiute sono fatte dal Padre (v.10).

L'immanenza del Padre nel Figlio può essere accettata solo per fede, per questo Gesù esorta i discepoli a credere in questa verità, se non altro a motivo delle opere straordinarie da lui compiute.

Gesù spesso invita alla fede pura, basata solo sulla sua parola (Gv 4,21.48; 6,29), per cui proclama beato chi crede senza aver visto (20,29). Egli tuttavia fa appello anche alla prova divina delle opere meravigliose e straordinarie compiute nel nome di Dio, per autenticare la sua missione divina, invitando i suoi ascoltatori a credere almeno per questa ragione (Gv 5,36; 10,25.37-38; 11,15). Per questo motivo il peccato d'incredulità dei giudei è senza scuse (Gv 15,24).

Nel v. 12 Gesù usa l'espressione solenne: "In verità, in verità vi dico" per richiamare l'attenzione sull'importanza dell'argomento trattato. Egli assicura ai suoi amici che, se crederanno nella sua persona divina, potranno compiere opere meravigliose e segni straordinari. La motivazione di questa possibilità di compiere opere eccezionali sta nel fatto che Gesù ritorna al Padre, presso il quale esaudirà le richieste dei discepoli (v.13).

Affinché la preghiera sia esaudita, dev'essere fatta nel nome di Gesù, cioè dev'essere rivolta a Dio per mezzo di Gesù, mossi dalla fede nella mediazione del Figlio di Dio. Gesù non lascia senza risposta le preghiere dei suoi amici (v.14).