Omelia (29-02-2024) |
don Giampaolo Centofanti |
Perché la via è credere e non vedere? Perché dobbiamo vivere di fede e non di visione? È una domanda diffusa e molto naturale. Ma anche la risposta è sorprendentemente semplice e ovvia. Se anche vedessimo Dio sarebbe un'oppressione che toglierebbe respiro, libertà, alla nostra vita senza persuaderci della validità della sua sequela. Vediamo noi stessi e possiamo comprenderci molto poco. Siamo figli di Dio, è lo Spirito che viene nei tempi e nei modi adeguati al nostro personalissimo cammino, tocca il nostro cuore, lo riscalda, lo illumina e ci porta in una vita sempre nuova dove possiamo gradualmente scoprire Dio, noi stessi, gli altri, il mondo. Lo Spirito non lo vediamo ma in realtà solo in lui vediamo davvero ogni cosa. Solo nella grazia di una maturazione spirituale e psicofisica sempre più profonda ed equilibrata in Gesù, Dio e uomo, veniamo portati nel mistero integrale della vita. Fuori di tale percorso come dice Gesù udiamo ma non sentiamo, guardiamo ma non vediamo. Siamo confusi, condizionati, da mille apparenze. Siamo fatti per vivere in Gesù Dio e uomo, nel suo Spirito. I discepoli hanno vissuto con Gesù, lo hanno sentito parlare con amore e sapienza meravigliosa, lo hanno visto compiere miracoli ma hanno compreso meno. Quando dal cielo, dunque non più nella sua vita terrena, Gesù ha inviato la virtuale pienezza dello Spirito la loro vita è cambiata profondamente. Quando nella nostra coscienza spirituale e psicofisica sentiamo di rispondere sì alla domanda se crediamo in Dio, quello è il dono della fede, che allora abbiamo ricevuto. Quando la grazia ci dona di intuire che lo Spirito di Gesù non calpesta ma fa maturare serenamente, a misura, la nostra umanità si possono gradualmente sciogliere i nodi spirituali e psichici della nostra vita, si possono aprire le strade verso la pienezza. Solo nello Spirito di Gesù, Dio e uomo, troviamo la vera concretezza, la mera materialità e uno spirito disincarnato sono inganni: "ogni spirito che riconosce che Gesù è venuto nella carne, è da Dio" (1 Gv 4, 2). Ecco la grazia della Parola, dell'eucaristia, il lasciarsi portare dal seme della Parola, nella fede, verso il suo pieno compimento. È dunque un cammino di apertura del cuore alla luce, un graduale lasciarsi portare dai criteri della fede, non un mero, distorcente, fare cose. Anche un ateo può imparare a riconoscere, ascoltare, la luce che ha nel cuore. Anche se non gli dona ancora la fede esplicita in Gesù ma magari gli elargisce doni nuovi, in Gesù, pure per la Chiesa. E quando andremo in cielo? Forse il punto decisivo è proprio che lì staremo con una scelta definitiva già fatta per Dio o per un suo rifiuto. Anche lì si potrà comunque forse trattare di un manifestarsi di Dio graduale, a misura e anche di un graduale entrare nello Spirito nel cuore gli uni negli altri. Mentre chissà forse nel caso di rifiuto definitivo di Dio forse si potrà sperimentare una assenza sua e anche degli altri. Dunque nella parabola odierna Gesù parla per paradosso. Cerca di fare comprendere che all'inferno si sta male. Perché nella realtà chi ha scelto la solitudine, l'alienazione, la sofferenza estrema, dell'inferno avrà compiuto una scelta definitiva sulla quale non vuole tornare indietro. Magari tornasse indietro, Gesù lo accoglierebbe a braccia aperte. |