Omelia (03-03-2024)
don Antonino Sgrò
Il corpo di Gesù è il luogo dell'incontro con Dio

Mai visto un Gesù così! Da dove gli viene tanta durezza? Sembra essere in preda ad un'ira incontrollata. Gesù, come ciascuno di noi, è animato da alcune passioni. Chi tiene particolarmente a una cosa, individuandola come fonte di bellezza, armonia e purezza, non può tollerare che sia sciupata da qualcuno. Cristo è mosso da un duplice sentimento: la passione per Dio e per l'uomo; tutta la sua vita non è altro che lo sforzo di mettere in comunicazione il Creatore con la creatura, perché questa lo riconosca come Padre. In nome di tale missione, entrando nel tempio, luogo d'incontro tra Dio e l'uomo, Egli osserva che in realtà questa relazione è stata falsata e resa quasi impossibile proprio da chi avrebbe dovuto favorirla. Lo scenario è dunque inaccettabile per Gesù: regna l'avidità al posto della gratuità, l'inganno invece della verità.
L'avidità era tipica dei sommi sacerdoti e dei sadducei, che gestivano il commercio degli animali per i sacrifici e la tassa di mezzo siclo al tempio. Si calcola che nei giorni della Pasqua potevano essere offerti fino a 18.000 agnelli da parte dei circa 100.000 pellegrini che salivano a Gerusalemme; inoltre, non potendo circolare nella zona sacra monete raffiguranti simboli pagani, i cambiavalute trattenevano per la loro commissione il 12%. La gratuità dovrebbe essere invece l'attitudine sia del mediatore che dell'offerente, perché diversamente la preghiera, che è esperienza anzitutto interiore, si riduce a puro materialismo. Venditori e cambiavalute hanno fatto il gioco del Maligno, che fa diventare centrale una cosa per sé marginale e viceversa. Tale stravolgimento tocca l'idea stessa della relazione con Dio, concepita ingannevolmente come un rapporto commerciale. I pellegrini si illudevano che, offrendo qualcosa, si sarebbero attirati i favori divini. La verità è invece la relazione, non il commercio col Signore. Spesso continuiamo a comportarci da servi, da clienti e fatichiamo a considerarci figli; facciamo tutto per meritare qualcosa, persino l'amore dell'altro. La logica del mondo è una continua ansia, una corsa al contraccambio: se mi dai, ti do; se ci sei per me, ci sono per te. Forse questo accade perché sono rare le persone che ti amano senza chiedere nulla in cambio, forse è la paura di non essere abbastanza che ci porta a dover dimostrare sempre qualcosa. E poi, quando Dio ti dice che a Lui non devi dimostrare nulla, non sai come comportarti, ti ritrovi impreparato e fatichi ad accogliere il dono. Eppure dovremmo aver capito che la sua logica è diversa! Gesù vuole suscitare proprio questa nuova visione della relazione con Dio, chiamando il tempio «casa del Padre mio» e definendosi pertanto come Figlio, interprete autentico di tale relazione originaria e della volontà paterna. E lo fa ‘stravolgendo lo stravolgimento' di quel luogo, che tornerà ad essere una terra vergine purificata dal diluvio della verità che distrugge la perversione umana.
Il gesto della cacciata dal tempio si inserisce nella linea profetica perché già Amos e altri avevano denunciato la corruzione del culto solo esteriore invocandone la purificazione, ma la risposta data ai Giudei che chiedono l'origine della sua autorità diventa profezia della passione e morte, con un valore programmatico all'inizio del vangelo. Gesù parla del tempio del suo corpo che sarà distrutto e in tre giorni riedificato e che, dopo la Pasqua, sarà riconosciuto come il nuovo e definitivo luogo d'incontro con Dio. È questo il cuore del testo, che riporta la nostra attenzione all'umanità di Gesù quale sacrario della presenza di Dio sulla terra. Ora, poiché per rapportarti a una persona devi partire da ciò che dice e che fa per arrivare a coglierne l'interiorità, comprendiamo come la relazione col divino sia un progressivo passare dall'esterno all'interno, dalla conoscenza per tradizione a quella per connaturalità, fino a diventare capaci di contemplare il cuore di Dio e i suoi sentimenti disseminati nella Parola e nella testimonianza viva della Chiesa.
Cristo sa che questo passaggio non è stato compiuto e che la fede di chi lo ascoltava non era ancora matura: per questo «non si fidava di loro». Non bisogna pensare che qui l'evangelista voglia alludere tanto all'idea di un Dio che non scommette più sulla capacità dell'uomo di vivere una relazione con Lui, quanto all'effettiva impossibilità di fare alcune cose per mancanza di fede: solo la fede consente di entrare in comunione con l'intimità divina, scacciando da noi ogni idolo, e di avere la chiave per aprire i cuori anche più induriti.