Omelia (03-03-2024) |
don Alberto Brignoli |
La fede vera? È la Croce Se c'è qualche frutto a cui può portare il nostro impegno annuale della Quaresima, credo che questo sia proprio la riscoperta di una fede sincera e genuina. Troppo spesso, infatti, viviamo una fede fatta di formalità, di cose scontate, a volte anche di superficialità, o - al contrario - di eccessiva scrupolosità nei confronti delle nostre obbligazioni religiose. Così, si passa - ad esempio - dalla superficialità di ritenere che la messa domenicale non è più un precetto vincolante, alla scrupolosità di chi si sente in colpa per aver mangiato un brodo di carne al venerdì; da chi ritiene delle "stupidaggini", delle "stoltezze", le prese di posizione della Chiesa in materia di morale rispetto ad altri temi importanti della vita e della società, a chi grida allo "scandalo" nei confronti della stessa Chiesa perché permette eccessive aperture nei confronti di quelli che sono "peccatori pubblici" e persone "deviate". Insomma, la fede cristiana si è sempre mossa tra chi dice: "Sono stoltezze", e chi grida: "È uno scandalo", come già i gruppi di giudei e di pagani presenti a Corinto ai tempi di Paolo. E in mezzo a questi due "litiganti", non c'è una cosa qualsiasi. C'è il fondamento della nostra fede: la Croce di Cristo. È questo che rende grave la questione, ai tempi di Paolo, così come ai nostri giorni: preoccupati dal dibattere su un modo o sull'altro di vivere la fede, rischiamo di perdere di vista il centro della nostra fede, ossia la morte di Cristo in croce per noi. È necessario quindi tornare al fondamento di ciò in cui crediamo; è necessario - e la Quaresima è un tempo privilegiato per fare questo - purificare la nostra fede da tutti quei modi di viverla e di approcciarsi a essa che non sono genuini, sinceri. Occorre fare ciò che Gesù simbolicamente ha fatto nel Vangelo di oggi: buttare all'aria tutte le bancarelle dei mercanti del tempio, ovvero eliminare tutti quegli atteggiamenti che si mascherano da atteggiamenti di fede ma che in realtà ostruiscono il nostro libero accesso alle cose di Dio, simboleggiate dal tempio, luogo privilegiato della presenza di Dio. Che cosa dobbiamo "buttare all'aria", nel nostro modo di vivere la fede, che ci impedisce di vivere in maniera genuina il nostro rapporto con Dio? Ognuno di noi, certamente, è in grado di individuare le proprie "bancarelle", ovvero quelle barriere che - mascherandosi da atteggiamenti di pietà - in realtà lo distanziano da Dio. Ma se vogliamo tornare a quanto le letture di oggi ci invitano a considerare, ritengo che vadano "buttati all'aria" almeno due atteggiamenti poco sinceri e poco genuini nel vivere il nostro rapporto con Dio. Da una parte, l'atteggiamento (che Paolo rimproverava ai cristiani di Corinto provenienti dal mondo pagano) che considera "stoltezze", "stupidaggini" tutti i tentativi di rimanere fedeli agli insegnamenti che ci hanno trasmesso coloro che ci hanno educato alla vita di fede, a partire dai nostri genitori e familiari. È un atteggiamento molto frequente, soprattutto (ma non solo) nelle giovani generazioni, che tendono a tacciare di "bigottismo" chi cerca di vivere una fede salda, convinta, fatta anche di partecipazione frequente alla vita di Chiesa. Paradossalmente, l'esigenza di scrollarci di dosso un modo tradizionalista e obsoleto di vivere la vita di fede, invece di darci l'opportunità di riscoprire un genuino rapporto di amicizia con Dio, oltre ad aver svuotato le chiese, ci ha allontanati ancor di più da lui. Dall'altra parte, c'è l'atteggiamento (che Paolo rimproverava ai cristiani di Corinto provenienti dalla religione giudaica) che considera "scandalosi" tutti i tentativi di vivere la fede in maniera originale rispetto all'insieme di norme, precetti, leggi e decreti che una religione offre per la sicurezza dei propri fedeli. È l'atteggiamento che sinceramente a me spaventa di più, perché vorrebbe ridurre il nostro rapporto con Dio a un pacchetto preconfezionato di precetti e di norme, al di fuori del quale è assolutamente impensabile (o addirittura scandaloso) parlare di vita di fede. Se il nostro rapporto con Dio dovesse essere di questo tipo, la stessa vicenda storica di Gesù Cristo, che ha buttato all'aria le istituzioni del suo tempo, risulterebbe un'assurdità, uno scandalo. Cosa che puntualmente avviene con i tanti vecchi e nuovi farisei della storia, che accusano e condannano Gesù Cristo per il suo desiderio di "distruggere il tempio" e le sue istituzioni. Sì, Gesù ha fatto questo, ha "distrutto" il tempio, ma per ricostruirlo nuovo a partire dalla realtà più sincera e genuina del nostro rapporto con Dio: la croce. Il nostro genuino rapporto con Dio non è questione di norme e precetti, non è questione di elementi innovativi che esulino da un senso di appartenenza a una comunità, e non è nemmeno questione di miracoli o segni prodigiosi che troppo spesso chiediamo a Dio di fare per poter credere in lui. Come dice il Vangelo di oggi, ci deve invece "divorare lo zelo per la casa di Dio". La radice della parola "zelo" è la stessa radice della parola "gelosia", ovvero amore cieco e folle. Quindi, è solo questione di quanto amiamo Dio, le cose di Dio, le manifestazioni di Dio nella nostra vita, attraverso atteggiamenti di obbedienza alla sua volontà, di offerta di noi stessi e della nostra vita alla causa del Vangelo e dell'uomo, di desiderio di conversione e di assoluta comunione con la vita di Dio e con le sofferenze dell'umanità. In una parola sola, è tutta una questione di amore alla Croce. La quale è scandalo per i Giudei che si aspettavano un Dio legislatore, giudice e castigatore; ed è stoltezza per i pagani che preferiscono un Dio qualunque, purché non dia loro troppo fastidio. Ma per coloro che credono, è potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che per gli altri è apparente debolezza e sconfitta, diviene fonte di vita vera e di fede autentica per chi crede in lui. |