Omelia (10-03-2024)
padre Ezio Lorenzo Bono
Kafkiani o cristiani?

I.
Il termine "kafkiano" è un sinonimo di assurdo, paradossale, e prende il nome dallo scrittore praghese Franz Kafka (1883-1924). Questo autore, di cui ricorre quest'anno il centenario della morte, ha scritto romanzi importanti come "La metamorfosi" che racconta di un giovane che si sveglia al mattino e si ritrova trasformato (metamorfosi) in un gigantesco insetto ("enorme insetto immondo"), e il romanzo altrettanto angosciante "Il processo", dove il protagonista, un funzionario di banca, viene improvvisamente e inspiegabilmente arrestato e condannato senza sapere di cosa è accusato. Un biografo di Kafka (Frederick R. Karl) dice che il nostro autore descrive nei suoi romanzi la situazione che si prova "quando entri in un mondo surreale in cui tutti i tuoi schemi di controllo, tutti i tuoi piani, l'intero modo in cui hai configurato il tuo comportamento, inizia a cadere a pezzi, quando ti trovi contro una forza che non si presta al modo in cui percepisci il mondo. E qualsiasi cosa tu faccia per contrastarla, ovviamente non hai nessuna possibilità". La condanna è un tema cruciale nei romanzi di Kafka i cui epiloghi sono terribili. L'uomo sembra essere condannato a una vita assurda, opprimente, dove la relazione con gli altri si interrompe e si rimane soli con se stessi di fronte all'ignoto. In uno dei suoi ultimi scritti Kafka disse: ""Esiste un punto di arrivo, ma nessuna via". Siamo d'accordo con lui per quanto riguarda la premessa "Esiste un punto di arrivo" ma non nella conclusione quando dice "non esiste nessuna via". Il fatto che lui non abbia trovato la via non significa che non esiste. La via per arrivare a questo punto di arrivo non la puoi trovare su qualche cartina geografica, o su una mappa del tesoro e nemmeno su google map, perché questa via non è un sentiero, ma è una persona che ha detto "Io sono la Via".

II.
È quanto ci conferma il vangelo di questa domenica del dialogo di Gesù con Nicodemo, il dottore della Legge, fariseo e membro del Sinedrio che era affascinato dal Maestro ed era andato a incontralo di notte, per non farsi vedere dalla gente. Gesù gli dice delle parole tra le più belle che siano mai state pronunciate sulla faccia della terra: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna". Gesù non sta parlando di un futuro a venire, o della vita dopo la morte, ma del presente: chiunque crede in Gesù ha già fin d'ora una vita che sa di eterno. Che differenza enorme tra l'uomo kafkiano che sa di terra, e l'uomo cristiano (cioè di Cristo) che sa di eterno: il primo è un uomo disperato, solo, in preda all'angoscia e assurdità della vita che ha davanti a sé un epilogo tragico. L'uomo di Cristo invece, è un uomo immensamente amato da Dio al punto da ricevere in dono suo Figlio, e quindi un uomo immerso nell'amore, il cui epilogo è la vita eterna. Cosa poteva fare di più Dio per noi, di quello che ha fatto donandoci suo Figlio e la vita eterna?
Per Kafka e per gli autori del teatro dell'assurdo che a lui si sono ispirati (Samuel Beckett, Eugène Ionesco...), l'uomo è condannato all'assurdità della vita. Con Cristo invece non c'è nessuna condanna: "Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato". Per il cristiano il paradigma della vita non è l'assurdità e la condanna, ma la salvezza e la vita eterna.

III.
Perché allora tante volte noi viviamo più come kafkiani che come cristiani?
San Luigi Gonzaga diceva "Quod aeternum non est, nihil est" ("Ciò che non è eterno non è nulla"). Per noi cristiani tutte le filosofie nichiliste, la letteratura dell'assurdo o le mode agnostiche del nostro tempo sono niente. Queste però esercitano un'attrazione fatale e ci fagocitano a tal punto da farci dubitare a volte delle nostre certezze. Non dobbiamo negare il confronto e il dialogo con queste teorie e con tutte le altre voci contemporanee nella ricerca della verità, nella consapevolezza però che noi abbiamo già incontrato la fonte della verità, che coincide non con una ideologia o corrente filosofica o una moda del tempo, ma coincide ancora una volta con una persona la quale ha detto "Io sono la Verità".
La filosofa e mistica Simone Weil, anch'essa di origini ebraiche come Kafka, ha percorso un cammino diverso da lui nella ricerca del senso della vita e della verità. Ella scrisse: "Mi pareva infatti - e lo credo ancor oggi - che non si resista mai abbastanza a Dio, se lo si fa per puro scrupolo di verità. Cristo vuole che gli si preferisca la verità, perché prima di essere Cristo egli è verità. Se ci si allontana da lui per andare verso la verità, non si farà molta strada senza cadere fra le sue braccia. È stato dopo questa esperienza che ho sentito che Platone è un mistico, che tutta l'Iliade è impregnata di luce cristiana e che Dioniso e Osiride sono in certo modo Cristo stesso; e il mio amore ne è stato raddoppiato." (Dal libro "Attesa di Dio"). È quanto conclude Gesù nel Vangelo di oggi: "chi fa la verità viene verso la luce".

IV.
In conclusione.
Come già vi dissi, a volte qualcuno contesta le mie omelie dicendomi che continuo a "divagare" su altre cose come l'arte, la musica, la letteratura mentre dovrei parlare solo di Dio. Le parole di Simone Weil che abbiamo appena ascoltato sono una risposta a questa obiezione: Dio è presente in tutto e in tutti (Platone, Dioniso, Iliade, etc.), ed è presente anche in Kakfa e in tanti autori nichilisti e agnostici, dove la Sua presenza prende la forma dell'assenza. Un'assenza gritante che ci fa sentire Dio presente anche laddove è ignorato o negato, perché come dice la Weil: "non si farà molta strada senza cadere fra le sue braccia".
Cari amici e amiche, oggi che è la domenica "In laetare", della gioia, siamo davvero lieti perché la nostra fede ci anticipa fin d'ora l'eterno e perché quando ci risveglieremo dal sonno della morte non ci ritroveremo trasformati in un enorme insetto di kafkiana memoria, ma ci risveglieremo nelle braccia di Dio.

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