Omelia (10-03-2024) |
diac. Vito Calella |
«Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» (Rm 5,20b) «Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati» (Ef 2,4-5). L'annuncio dell'autore della lettera aggli Efesini amplifica quanto la parola di Dio aveva già annunciato attraverso l'apostolo Paolo, nella lettera ai Romani: «dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» (Rm 5,20b). Dall'ascolto del secondo libro delle Cronache, abbiamo accolto la rilettura storica e teologica della drammatica esperienza dei settanta anni di esilio in Babilonia, che il popolo del regno di Juda fece dal 597 al 520 a.C.. Da un lato sono evidenziati i peccati del popolo: «Tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme» (2Cr 36,14); «Disprezzarono le parole dei messaggeri di Dio e schernirono i suoi profeti» (2Cr 36,16a). L'ira divina si concretizza nella distruzione di Gerusalemme e del tempio e poi nella deportazione degli scampati alla spada verso la terra di Babilonia (cfr. 2Cr 36,16b-20). Dall'altro lato, la misericordia divina è superiore alla sua ira. L'abbondante predicazione dei profeti è il primo segno della sovrabbondante grazia divina: «Il Dio dei padri mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora» (2Cr 36,15). La sovrabbondante grazia divina si manifesta anche attraverso l'iniziativa del re di Persia, Ciro, che decretò la fine dell'esilio e permise al popolo di Juda di tornare in patria, per ricostruire il tempio, aiutando gli esiliati a riconoscere la fedeltà divina all'alleanza di comunione, nonostante i loro peccati: «Il Signore, suo Dio, sia con il popolo e salga con lui», (2Cr 36,23b). La sovrabbondante grazia sul peccato dell'umanità si è manifestata in Cristo Gesù! La missione del Figlio amato di Dio Padre, per salvare tutta l'umanità dalle più svariate forme di schiavitù e di esilio, è ben maggiore di quella di Ciro, re di Persia: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Siamo invitati nuovamente a sostare sotto il crocifisso e a contemplare la trasbordante grazia proveniente da quella morte di croce, simbolicamente paragonata «al serpente di bronzo» innalzato da Mosé su un'asta, quando il popolo camminava nel deserto verso la terra promessa. «Il Signore disse a Mosè: "Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita"» (Nm 21,8). Oggi il Cristo risuscitato ci ha donato un nuovo annuncio della sua morte di croce, da lui pronunciato nel contesto del suo dialogo con Nicodemo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,15). Il serpente, figura simbolica del male praticato dall'egoismo umano, che provoca paura e morte, diventa ora figura simbolica della sovrabbondante grazia riversata su di noi, pronta ad agire con la sua forza liberante e santificante se ciascuno di noi sceglie di credere in Gesù Cristo, riconoscendolo come unico «cammino, verità e vita» (Gv 14,6) della propria esistenza. Gesù crocifisso, paragonato al serpente di bronzo innalzato sull'asta, ci fa ricordare una affermazione fortissima dell'apostolo Paolo: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,21). Dunque, «per grazia siamo salvati mediante la fede; e ciò non viene da noi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo» (Ef 2,8-10). Quali opere buone siamo chiamati a scegliere per sperimentare la sovrabbondante grazia che supera la nostra triste condizione di peccatori, resistenti ad una vera conversione? Opere buone per vivere nella sovrabbondante grazia divina 1a: scegliere l'opera buona di esercitare la nostra libertà senza assolutizzarla L'ira divina, sempre associata alla misericordia, è un appello urgente a considerare la responsabilità dell'esercizio della nostra libertà di pensare, volere, scegliere e agire. Se viviamo illudendoci di avere una libertà incondizionata, assoluta, potendo decidere, individualmente e con la nostra limitata coscienza, ciò che è bene e ciò che è male, rigettando qualsiasi confronto di discernimento con la parola di Dio, saremo destinati a soffrire le conseguenze disastrose delle nostre scelte ed azioni egoistiche e non rispettose dell'altro. L'ira divina è la sofferenza del Padre, unito al Figlio nello Spirito Santo, nel dover pazientare e rispettare chi ha scelto di cavarsela da solo, facendogli sperimentare le conseguenze disatrose del suo agire egoistico. Possiamo allora diventare schiavi delle idolatrie del potere secondo il principio della competizione; del piacere immediato e consumistico dei nostri istinti carnali, della vana gloria e della ricerca di successo e di fama; del denaro e della prosperità economica; della esagerata fiducia nel potere del sapere tecnico-scientifico. Allora comprendiamo che non è scontato nemmeno per noi, cristiani, scegliere di mettere al centro della nostra esistenza la nostra fede in Cristo morto e risuscitato, che ci permette di risuscitare con Lui e farci sedere nei cieli, in Lui, per mostrare alle generazioni future la straordinaria ricchezza della sua grazia. Si: abbiamo scelto di vivere in Cristo e ci siamo convertiti per la sua bontà verso di noi (cfr. Ef 2,6-7). 2a: scegliere l'opera buona della fede testimoniata dal nostro incontro orante con la parola di Dio. «Chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (Gv 3,23). Fare la verità e venire verso la luce è un linguaggio profondo dell'evangelista Giovanni, che ci invita a coltivare e approfondire la nostra fede in Cristo Gesù mediante la scelta di mettere in pratica la parola di Dio pregata, meditata, custodita nel cuore e nella mente come vera luce che illumina le scelte del cammino della nostra esistenza terrena. 3a: scegliere l'opera buona della fede, testimoniata dal nostro sentirci parte viva di una comunità cristiana, fondata nell'eucaristia. «Mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo, se non innalzo Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia» (Sal 136,6). La nostalgia struggente di Gerusalemme, espressa nella preghiera dell'esiliato di Babilonia, diventa per noi cristiani un appello a non scegliere mai di vivere esiliati, distanti, distaccati dalla nostra comunità cristiana. Oggi è sempre in agguato il pericolo di scegliere una pratica individualista della propria fede, affidandosi ai predicatori del mondo virtuale di internet, alle messe e pratiche devozionali trasmesse dai canali televisivi, senza nessun legame effettivo e affettivo con la comunità cristiana e senza trovare il proprio posto di servizio ministeriale gratuito in essa. Molti cristiani snobbano il valore di sentirsi popolo di Dio celebrante della santa messa domenicale, per attingere dall'eucaristia la gioia di essere membra vive del corpo ecclesiale, inseriti nel mondo e facendo della gratuità dell'amore e della comunione eucaristica il culmine e la fonte della loro esistenza. 4a: scegliere l'opera buona di vivere il sacramento della riconciliazione. «Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,17). La celebrazione del sacramento della riconciliazione, tanto raccomandata in questo tempo quaresimale, è a disposizione per ciascuno di noi affinché possiamo sperimentare nuovamente il sovrabbondare della grazia divina sull'abbondare dei nostri peccati, riconoscendo in Cristo il nostro vero salvatore. |