Omelia (10-03-2024)
don Lucio D'Abbraccio
L'infinita misericordia di Dio!

Questa quarta domenica di Quaresima, tradizionalmente chiamata «domenica Laetare», ossia della «Letizia», è permeata da una gioia che in qualche misura attenua il clima penitenziale di questo tempo forte dell'anno liturgico: «Rallegrati Gerusalemme - si legge nell'antifona d'ingresso - Sfavillate di gioia con essa, voi che eravate nel lutto». A quest'invito fa eco il ritornello del Salmo responsoriale: «Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia». Pensare a Dio dà gioia. Viene spontaneo domandarsi: ma qual è il motivo per cui dobbiamo rallegrarci? Certamente un motivo è l'avvicinarsi della Pasqua, la cui previsione ci fa pregustare la gioia dell'incontro con il Cristo risorto. La ragione più profonda sta però nel messaggio offerto dalle letture bibliche che la liturgia oggi propone e che abbiamo ascoltato. Esse ci ricordano che, nonostante la nostra indegnità, noi siamo i destinatari dell'infinita misericordia di Dio. Dio ci ama in un modo che potremmo dire "ostinato", e ci avvolge della sua inesauribile tenerezza.
Come rispondere a questo amore radicale del Signore? Il Vangelo ci presenta un personaggio di nome Nicodemo, membro del Sinedrio di Gerusalemme, che va di notte a cercare Gesù. Si tratta di un uomo perbene, attirato dalle parole e dall'esempio del Signore, ma che ha paura degli altri, esita a compiere il salto della fede. Avverte il fascino di questo Rabbì così diverso dagli altri, ma non riesce a sottrarsi ai condizionamenti dell'ambiente contrario a Gesù e resta titubante sulla soglia della fede. Quanti, anche nel nostro tempo, sono in ricerca di Dio, in ricerca di Gesù e della sua Chiesa, in ricerca della misericordia divina, e attendono un "segno" che tocchi la loro mente e il loro cuore! Oggi come allora l'evangelista ci ricorda che il solo "segno" è Gesù innalzato sulla croce. Gesù sa che la croce è il culmine della sua missione: in effetti, la Croce di Cristo è il vertice dell'amore, che ci dona la salvezza. Lo dice Lui stesso nel Vangelo di oggi: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». Il riferimento è all'episodio in cui, durante l'esodo dall'Egitto, gli ebrei furono attaccati da serpenti velenosi, e molti morirono; allora Dio comandò a Mosè di fare un serpente di bronzo e metterlo sopra un'asta: se uno veniva morso dai serpenti, guardando il serpente di bronzo, veniva guarito (cf Nm 21,4-9). Anche Gesù sarà innalzato sulla Croce, perché chiunque è in pericolo di morte a causa del peccato, rivolgendosi con fede a Lui, che è morto per noi, sia salvato. «Dio infatti - scrive san Giovanni - non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». La vita dei santi lo testimonia: essi non erano uomini perfetti che vivevano sempre in estasi, ma peccatori, come tutti, che però amavano smisuratamente il Signore e ponevano tutta la loro fiducia in Lui. Non ci è chiesto di scalare le montagne o di digiunare a pane e acqua ogni giorno, ma di credere che Gesù sia il nostro salvatore e affidare a Lui tutta la nostra vita. Santa Teresa di Gesù Bambino scriveva: «Se anche avessi commesso tutti i crimini possibili, avrei la stessa fiducia, sento che tutta questa moltitudine di offese sarebbe come una goccia d'acqua gettata in un braciere ardente».
Commenta, inoltre, sant'Agostino: «Il medico, per quanto dipende da lui, viene per guarire il malato. Se uno non sta alle prescrizioni del medico, si rovina da solo. Il Salvatore è venuto nel mondo... Se tu non vuoi essere salvato da lui, ti giudicherai da te stesso» (Sul Vangelo di Giovanni, 12, 12: PL 35, 1190). Dunque, se infinito è l'amore misericordioso di Dio, che è arrivato al punto di dare il suo unico Figlio in riscatto della nostra vita, grande è anche la nostra responsabilità: ciascuno, infatti, deve riconoscere di essere malato, per poter essere guarito; ciascuno deve confessare il proprio peccato, perché il perdono di Dio, già donato sulla Croce, possa avere effetto nel suo cuore e nella sua vita. Scrive ancora sant'Agostino: «Dio condanna i tuoi peccati; e se anche tu li condanni, ti unisci a Dio... Quando comincia a dispiacerti ciò che hai fatto, allora cominciano le tue opere buone, perché condanni le tue opere cattive. Le opere buone cominciano con il riconoscimento delle opere cattive» (ibid., 13: PL 35, 1191). A volte l'uomo ama più le tenebre che la luce, perché è attaccato ai suoi peccati. Ma è solo aprendosi alla luce, è solo confessando sinceramente le proprie colpe a Dio, che si trova la vera pace e la vera gioia. È importante allora accostarsi con regolarità al Sacramento della Penitenza, in particolare in Quaresima, per ricevere il perdono del Signore e intensificare il nostro cammino di conversione.
Volgendo lo sguardo a Maria, "Madre della santa letizia", chiediamoLe di aiutarci ad approfondire le ragioni della nostra fede, perché, come ci esorta oggi la liturgia, rinnovati nello spirito e con animo lieto corrispondiamo all'eterno e sconfinato amore di Dio. Amen!