Omelia (17-03-2024)
don Antonino Sgrò
Alberi all'altezza della croce

«Vogliamo vedere Gesù». Un gruppo di pellegrini greci consegna a Filippo questa attesa; probabilmente è gente convertita da poco, salita a Gerusalemme per celebrare la nuova fede, per ascoltare una parola che indichi il cammino. L'uomo Gesù, ancora molto discusso nella sua pretesa di verità, è cercato da una umanità assetata a sua volta di verità: bisogna sperare che le due verità si incontrino, e ciò avviene sempre con la mediazione di qualcuno. Non si arriva a Gesù da soli; anzi, affidandosi unicamente a buoni propositi e sforzi personali, senza l'umiltà di chiedere, si rischia di rimanere nell'illusione di conoscere il segreto della vita. Chi ha fatto esperienza del Signore, invece, ti mette in contatto con Lui, facendosi garante della genuinità di questo incontro.
La risposta di Gesù è l'occasione per affermare una delle più grandi verità per l'uomo: vede Dio chi accetta di morire per passare così a una vita nuova, come il chicco di grano che deve morire per produrre il frutto sperato. Una vita nella pace e capace di generare bene nasce dal distacco del cuore da ogni possesso per entrare nella logica del dono di sé. La morte dell'io e la sofferenza sono prove che non vorremmo mai vivere, cercando di schivarle o negarle. Ma non funziona così. Gesù è venuto non per eliminare il dolore ma per dargli un senso. Esso fa parte della nostra vita, tutti ne facciamo esperienza ma, paradossalmente, chi si decide per Dio va incontro alla sofferenza molto più di chi ne rimane lontano. Ciò accade perché «il principe di questo mondo» non vuole che gli uomini vivano in comunione col Signore e fa di tutto per suscitare nel cuore di chi ha scelto di seguirlo dubbi, pensieri e bisogni che creano turbamento e spingono a cercare gratificazioni immediate pur di non dover vivere questo travaglio interiore.
Mentre noi insisteremmo sul dolore, poiché l'uomo nella sofferenza spesso non riesce a vedere oltre, prigioniero delle proprie paure, Gesù pone l'accento sull'esito di tale processo, che «produce molto frutto» solo se la perdita è accettata incondizionatamente. Per superare il muro dell'angoscia che uccide la speranza è necessario rimanere con Gesù: anch'Egli ha provato l'angoscia mortale del Getsemani, che qui già scorgiamo, ma è sempre stato sostenuto dalla certezza della risurrezione. Rimanendo con Lui, riceveremo il suo stesso sguardo, saremo nel suo stesso sentire carico di speranza, perché «dove sono io, là sarà anche il mio servitore». Seguire Gesù perdendo la propria vita, ossia spendendola interamente per gli altri, ci rende servitori del suo regno. Dunque c'è da attraversare anche l'ora della sofferenza, ma attraversandola diventa l'ora della glorificazione. Il Padre dal cielo fa sentire la sua voce, come nella Trasfigurazione, per confermare che il Figlio immolato è il chicco di grano già trasformato in spiga rigogliosa. La folla non comprende la voce, perché soltanto con la luce della Pasqua si potrà riconoscere Gesù sulla croce come il vincitore di ogni morte. Lì il desiderio di tutte le genti di vedere il Signore sarà appagato, e non per gli sforzi umani, ma per la forza attrattiva e convincente della stessa croce.
«Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me»: Ebrei, Greci, generazioni passate e future, singoli e comunità. Da sempre l'uomo ha cercato la gloria, a volte camuffandola di sapienza e verità, altre volte trasformandola in oppressione del prossimo. Adesso Gesù, annunciando la croce, sta dicendo che la vera gloria nasce da una morte e richiede la nostra morte. L'emblema del sacro legno ci dona la certezza che non saremo lasciati soli e ci invita a contemplare il Crocifisso ogni volta che c'è da affrontare una morte. L'umanità che sa portare in Cristo il peso del dolore è perfettamente riuscita secondo Dio; noi stessi giudichiamo il valore di una persona dalla sua capacità di resistere la male: perché il mondo non dovrebbe stimare chi fa questo nel nome di Gesù? Il problema è a chi diamo ascolto: la voce che si ode dal cielo conferma che il Figlio ascolta il Padre. Se ascoltiamo solo il grido della sofferenza, soccomberemo ad essa; se invece sapremo ascoltare l'invito ad amare nella prova, anche il più piccolo dono di noi stessi, concimato dal dolore, ci renderà alberi all'altezza della croce. Avremo così trovato la nostra identità e da lì, con Gesù, attireremo tanti fratelli alla logica dell'amore, invece di attrarre a noi l'altro in quanto compensa il nostro vuoto interiore. Mortifichiamo dunque ciò che in noi è inferiore per aprirci ad una vita più alta!