Omelia (17-03-2024) |
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COMMENTO ALLE LETTURE Commento a cura di Lucia Piemontese La liturgia della Parola ci orienta decisamente verso la celebrazione del mistero pasquale del Signore. Il capitolo 12 del IV Vangelo appare come un grande affresco di volti e persone che convergono intorno a Gesù, con le loro diverse comprensioni, paure, intenzioni. Dopo aver ricevuto da Maria, in casa degli amici a Betania, l'unzione di nardo che prefigura la sua sepoltura, Gesù entra in Gerusalemme su un umile asinello e viene acclamato e osannato da una gran folla dei giudei. Gli danno gloria, lo vorrebbero re, accorrono per vedere l'uomo che compie prodigi notevoli, ultimo quello di Lazzaro. I capi dei sacerdoti e i farisei, dal canto loro, lo vedono sempre più come un pericolo e vogliono toglierlo di mezzo. Infine sulla scena compaiono anche dei greci; forse sono proseliti o timorati di Dio giunti a Gerusalemme per la pasqua, ma comunque persone appartenenti al mondo pagano. Il Vangelo oggi si apre con l'espressione di un desiderio proprio da parte di questi greci: «Vogliamo vedere Gesù». "Vedere" nel linguaggio giovanneo ha a che fare con il conoscere e credere. I greci mostrano un'intenzione piuttosto decisa e infatti cercano la strada nella mediazione di Filippo che poi coinvolge Andrea. Questi due apostoli, dal nome greco e provenienti da Betsaida, hanno la loro propria storia nel quarto Vangelo: tra i primi a seguire Gesù, sono loro a chiamare Pietro e Natanaele e sono anche protagonisti nel momento della moltiplicazione dei pani. Filippo, ricevuta la richiesta dei greci, lo dice ad Andrea ed insieme vanno dal Signore. Possiamo vedere qui una bella immagine della Chiesa, "fondata sugli apostoli", che accoglie la domanda su Dio e accompagna all'incontro con il Signore. Gesù non risponde direttamente perché vede nella richiesta dei greci un segno più grande, di compimento: in questi greci tutta l'umanità è raggiunta ed entra in relazione con Lui, seppure con esiti diversi. È quindi arrivata quell'ora, della quale Gesù è consapevole e parla fin dall'inizio del suo ministero pubblico a Cana: è l'ora della sua morte, nella quale si manifesterà il mistero del Figlio e si rivelerà pienamente quanto Dio ha amato l'umanità. Per questo Gesù vede in essa il vero momento della sua "gloria/glorificazione": «È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato». Nella visione giovannea il mistero pasquale di Gesù è contemplato e compreso come esaltazione, innalzamento, regalità, gloria. Per spiegare il significato della sua morte, Gesù prosegue il discorso usando la semplice e bella immagine del seme di grano, che custodisce in sé il mistero della fecondità e della vita: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto». La morte del seme è la condizione perché ci sia il frutto, la spiga piena di nuovi semi, il pane, la vita. La morte feconda è la "gloria" del seme. Con la sua morte Gesù donerà un'abbondanza di vita eterna. La scelta della fecondità o dell'infecondità riguarda ogni uomo, si gioca sull'amare o perdere la propria vita: «Chi ama la propria vita la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna». Sembra un paradosso, ma è vero che esiste un amore di sé che fa vivere solo per sé stessi; si tratta di un amore di sé radicalmente malato (ce n'è anche uno sano!) che ha l'effetto di farci perdere la vita, rinchiudendoci in una solitudine sterile. È il dramma del chicco che non muore e rimane solo, marcito o secco. Se vogliamo vivere, dobbiamo rifiutare questo attaccamento a noi stessi che fa perdere la vita e aprirci all'amore di donazione che fa vivere gli altri e noi stessi. Solo questo amore è conservato in eterno e genera vita eterna. Gesù ci chiama a seguirlo su questa strada, a fare nostra la sua modalità pasquale del perdere la vita per averla vera ed eterna. La "perdiamo" di fronte al mondo inteso come quella realtà indifferente, egoista, iniqua, malvagia, che non vuole accogliere la Croce di Cristo perché preferisce le tenebre alla luce. Ma la acquistiamo davanti al Padre che ci riconoscerà figli nel suo Figlio, rigenerati dal suo amore crocifisso e ci onorerà insieme a Lui. L'ora della morte è prossima e Gesù prova angoscia: «Adesso l'anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome». Si rivolge al Padre e nell'unione con Lui trova il coraggio per confermare la piena adesione alla volontà divina. Il Padre lo ascolta e risponde: «L'ho glorificato e lo glorificherò ancora!». In cosa consiste la reciproca glorificazione tra Padre e Figlio? Gesù dà gloria al Padre compiendo la sua opera di salvezza e il Padre dà gloria a Gesù soprattutto rendendolo sorgente di vita per noi. L'amore incommensurabile per l'umanità è la "gloria" di Dio. Il momento della gloria è nella Croce: «Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Il principe del male con il suo mondo perverso e disumano viene sconfitto dalla Croce di Gesù che, elevato/innalzato sul legno (patibolo e trono regale), attirerà tutti. La forza dell'amore divino che scaturisce da Cristo crocifisso attrae come una calamita, richiama, innamora, avvince: è la Luce che splende nelle tenebre. La Croce è il luogo della manifestazione inequivocabile del radicale e appassionato amore di Dio per l'umanità, per ciascuno e per chiunque. Il Vangelo oggi ci lascia queste domande che possono aiutarci a crescere nella verità di noi stessi: tu vuoi davvero vedere Gesù? Vuoi davvero accompagnare quelli che incontri a conoscere Gesù, con la tua testimonianza di vita e con la preghiera? Ma vuoi davvero che la tua vita sia feconda nel modo pasquale del Signore? E ancora, vuoi davvero seguirlo nelle scelte d'amore ti chiede nel concreto oggi? Parliamone con il Padre nel dialogo segreto e intimo con Lui. |