Omelia (17-03-2024)
fr. Massimo Rossi
Commento su Giovanni 12,20-33

Siamo alla fine della Quaresima; domenica prossima celebreremo la Passione del Signore che
inaugurerà la Settimana Santa. Il Vangelo di Giovanni presenta l'incontro di Gesù con alcuni Greci,
che hanno sentito parlare di Lui e lo vogliono conoscere di persona. Questa circostanza offre al
Maestro di Nazareth l'occasione per annunciare la sua imminente glorificazione - sappiamo già
che quando Giovanni parla di glorificazione, sta pensando alla croce -.

Oggi il Signore dà a tutti una lezione magistrale di libertà!...rasenta quasi il cinismo...
Libertà da tutto e da tutti; soprattutto, libertà da sé stessi.
Un mio vecchio confratello dichiarava che, facendo voto di obbedienza, aveva raggiunto la vera
libertà. Se è vero, com'è vero, che realizzare la propria vocazione significa fare verità su sé stessi,
allora capiamo le parole del Signore, quando dice che "la verità ci farà liberi!"
Meritevole di riflessione è il binomio verità-libertà: come ripeto spesso, salendo sulla croce il
Signore è diventato il Cristo, ha fatto verità su di sé e con essa, ha raggiunto la vera libertà dalla vita,
ma anche dalla morte. Perché al termine della vita non sta la morte, ma la risurrezione.
"È giunta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato.": ricordate la risposta che Gesù aveva dato a
sua madre, in occasione delle nozze a Cana di Galilea? "Non è ancora giunta la mia ora...";
ebbene, l'ora è finalmente venuta.
È interessante notare come l'Evangelista, il discepolo che Gesù amava, presenta la morte, un
evento intrinsecamente negativo, doloroso, nei termini positivi della fecondità: se il chicco di
grano non muore, rimane solo, se invece muore produce molto frutto: dunque la morte è la
condizione perché ci sia nuova vita
. Beh, in natura è un fatto del tutto ordinario, ovvio, per nulla
negativo, al contrario! certamente avrete tutti ascoltato almeno una volta la vicenda di un uomo che
morì in ospedale proprio nell'istante in cui, nello stesso ospedale, sua figlia dava alla luce un
figlio... In occasione dei funerali, furono in tanti ad aver pensato che tra il nonno e il nipotino si
era verificato come il passaggio di un testimone: il vecchio lo porgeva al bambino... la vita non
finiva, molto semplicemente e in tutta naturalezza, migrava dal nonno al nipote: la vita era la
stessa... la vita continuava.
Del resto, la psicanalisi applicata all'antropologia ha ampiamente dimostrato che il motivo
naturale che spinge l'uomo e la donna a procreare è il desiderio che la loro vita non finisca con
la morte, ma in qualche modo continui nel figlio...

Desiderio egoistico? non credo; lo sarebbe se non fossimo convinti che la vita è un dono ricevuto,
e chiede di essere a sua volta donato, perché qualcosa, qualcuno possa vivere dopo di noi.
Più che egoismo, voglio credere che sia amore per la vita, non (solo) la vita mia, la vita tout court.
C'è forse un grado di libertà più alto di questo? amare la vita in qualunque forma si manifesti:
dentro di me e intorno a me... sempre vita è, e come tale va favorita, custodita, difesa!
Ciò non toglie che la prospettiva di morire susciti l'impulso istintivo di fuggire (la morte)...

"Ora l'anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo
sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome.":
anche il Signore aveva paura di morire;
sapendo poi come sarebbe morto, la tentazione di fuggire era tutt'altro che teorica.
E nel Getzemani abbiamo la conferma di questa paura, di più, di questa angoscia mortale, che
produsse la sudorazione di sangue.
"Venne allora una voce dal cielo: l'ho glorificato e lo glorificherò ancora!": quando Gesù sta
male, il ricorso alla fede è decisivo, a compiere il passo, anche quando costa l'inverosimile; e
proprio perché (quel passo) costa l'inverosimile, senza la fede si rischia di rifiutarlo (quel passo),
oppure ci si abbandona alla paura, all'angoscia,...
Vivere in continua paura, in continuo stato di angoscia, è una sensazione orribile, peggiore della
morte! Ecco che allora la morte si può invocare, come fine di tutto, della paura, dell'angoscia,...
Ma neanche questo è il modo migliore per misurarsi con il cimento ineluttabile della morte.
È vero: sto facendo disquisizioni pseudofilosofiche, ma non vivo la condizione di chi, malato
terminale, vorrebbe morire, ma non ci riesce... È facile sdottorare, di massimi sistemi, quando,
almeno allo stato attuale dei fatti, la morte non sembra essere dietro la porta.
Chissà che cosa pensavano al riguardo i prigionieri di Auchwitz... o un carcerato americano, da
dieci anni recluso nel braccio della morte, per il quale ogni giorno può essere l'ultimo...
Già in altre occasioni ho ricordato le parole di Enzo Bianchi, noto teologo e maestro di spirito, il
quale spiega in questi termini il senso della Chiesa e dei cristiani: "La Chiesa e i cristiani sono al
mondo per aiutare l'umanità a vincere la paura della morte".

Anche questo è un modo per ribadire la nostra vocazione a dedicare la vita a quello che nei secoli
passati si chiamava "apparecchio alla buona morte", non solo per noi, ma anche per coloro che la
provvidenza ci ha posto, o ci porrà accanto.
Dimenticavo un ultimo aspetto... in verità, parlando di fede, questo aspetto è implicito... mi
riferisco alla preghiera. E mi vengono in mente le parole dell'AveMaria, con le quali invochiamo
la Madonna affinché preghi per noi, peccatori, "adesso e nell'ora della nostra morte.".
Conservare la fede per tutta la vita, affinché nell'ultimo istante sia con noi a confortarci, a
combattere la paura, il senso di solitudine,...
Una volta si chiamava perseveranza finale. E se ne parlava spesso.
Ora non se ne parla quasi più...