Omelia (12-02-2006)
don Remigio Menegatti
La tua salvezza, Signore, mi colma di gioia (234)

Per comprendere la Parola di Dio alcune sottolineature
La prima lettura (Lv 13,1-2.45-46) è presa dal Levitico, il libro che contiene una serie di regole che i leviti dovevano osservare e insegnare per il bene della comunità degli ebrei. Nel brano di oggi si parla della lebbra: una malattia considerata molto pericolosa perché di facile diffusione, soprattutto in situazione di scarso igiene. Il lebbroso veniva segnalato in maniera evidente e allontanato dalla comunità. Essere lebbrosi equivaleva in certo modo ad essere considerati come morti, e peccatori, dato il legame stretto che si riconosceva tra colpa e punizione attraverso la malattia.
Il vangelo (Mc 1,40-45) continua il raccolto dei gesti che Gesù compie a Cafarnao. Dopo la liberazione dell'indemoniato, la guarigione della suocera di Pietro e di molti altri malati, Gesù accoglie le richieste di un lebbroso e, toccandolo, lo guarisce. La folla accorre a lui da tanti paesi, non potendo Gesù entrare nelle città.

Salmo 31
Beato l'uomo a cui è rimessa la colpa,
e perdonato il peccato.
Beato l'uomo a cui Dio
non imputa alcun male
e nel cui spirito non è inganno.

Ti ho manifestato il mio peccato,
non ho tenuto nascosto il mio errore.
Ho detto: «Confesserò al Signore
le mie colpe»
e tu hai rimesso la malizia del mio peccato.

La grazia circonda chi confida nel Signore.
Gioite nel Signore ed esultate, giusti,
giubilate, voi tutti, retti di cuore.

Nel salmo si parte sottolineando il presunto legame tra peccato e malattia, e quindi quello conseguente: conversione e guarigione.
Il peccato è un rifiuto dell'amore di Dio, una chiusura alla sua forza di salvezza che porta con sé delle conseguenze. Tra queste c'è la malattia, che poteva diventare castigo per persone diverse da chi aveva commesso il peccato.
La conseguenza è l'allontanamento del peccatore–malato dalla comunità, come pure il suo ritorno nel momento in cui chiede perdono e viene liberato dal male che si manifestava nella malattia.
Nel salmo si insiste quindi nella richiesta di perdono, come pure nel sottolineare la situazione positiva - "beato l'uomo" - di chi sperimenta la misericordia di Dio. Da qui l'invito finale alla gioia, esultanza, e giubilo rivolto ai giusti e retti di cuore.

Un commento per ragazzi
"Che schifo!", è una frase che sentiamo spesso sulla bocca dei ragazzi, soprattutto a partire dalla preadolescienza. Sembra quasi che qualsiasi cosa proposta da altri (di solito genitori, insegnanti, catechisti...) susciti questa reazione di fastidio e disprezzo. Qualsiasi cosa: dal cibo alle attività, dalla musica alle letture, dai programmi televisivi alle richieste di collaborazione.
Una forma di difesa? Un rifiuto di quanto proposto da altri? Fatto sta che spesso si riceve questa reazione. A pensarci bene la frase diventa così frequente che non dice la realtà, appare inflazionata e non esprime alcuna vera reazione.
Di fronte a certe cose ha senso reagire e manifestare il proprio disgusto e rifiuto. Una di queste, al tempo di Gesù è la lebbra. Che poi è rimasta come paragone anche nel nostro tempo; per cui non tanti anni fa qualcuno parlava dell'AIDS come della "lebbra del nostro tempo". E queste persone arrivavano a definirla come "castigo di Dio". Questo ci aiuta a capire la reazione di rifiuto e orrore che nel popolo ebreo era legata alla lebbra. Il libro del Levitico aveva una serie di norme severe per isolare i lebbrosi, per condannarli alla solitudine, per giudicarli come peccatori. Si imponeva l'allontanamento dalla comunità in quanto peccatori e impuri, pericolosi per gli altri nel corpo e nell'anima. Si imponevano delle regole severe anche per il loro ritorno nella società nel caso di guarigione, come sacrifici di espiazione e autorizzazione del sacerdote. La guarigione era un fatto possibile perché spesso si trattava di malattie della pelle facilmente guaribili. Oppure poteva avvenire un miracolo; era capitato ai tempi di Eliseo, e anche alle persone che si erano rivolte a Gesù.
Gesù si mostra potente contro il male: come Eliseo anche lui guarisce un lebbroso. Non ha paura del contagio, e neppure di stare con quanti erano considerati peccatori; non dimostra timore di fronte al male perché è il medico delle anime e guarisce il cuore dell'uomo. La guarigione ridona vita a colui che, in quanto lebbroso, era considerato come un morto che respira, uno da allontanare e da isolare perché poteva portare altro male alla comunità. Gesù si dimostra il liberatore, colui che dà gioia alle persone, perché porta la salvezza che Dio attraverso di lui offre a tutti gli uomini.

Guarire le persone ci appare difficile; anzi impossibile. Soprattutto se si tratta di cose complicate. Ma non isolarle, evitare di condannarle, accoglierle e offrire occasioni di attenzione e amicizia...questo è possibile anche a noi ragazzi.
Il primo passo può essere quello di eliminare alcuni "che schifo!" che punteggiano i nostri discorsi quotidianamente. Eliminarli per non diventare impossibili, per non farci giudici di tutto e di tutti. Giudici che spesso non si prendono neppure il tempo di valutare, tanto sono preoccupati di prendere le distanze e di farlo notare.
Prendiamo le distanze da chi proviene da altri Paesi...se non è particolarmente carina o simpatico, quasi che l'immagine esterna dica tutto del cuore delle persone. Abbiamo bisogno di essere liberati anche noi dalla "lebbra" del pregiudizio.

Un suggerimento per la preghiera
Ciò che ci deve far paura non sono le malattie, i problemi degli altri, quanto invece il "peccato che ci divide", le "discriminazioni che ci avviliscono".
Per prima cosa ti chiediamo: "Risanaci, o Padre" perché desideriamo "collaborare all'opera della redenzione" accogliendo ogni persona con cuore aperto e "narrare ai fratelli la tua misericordia" che supera ogni nostra chiusura.