Omelia (24-03-2024)
diac. Vito Calella
I due significati dell'abbandono

L'ascolto della passione e morte di Gesù suscita dentro di noi una mescolanza di sentimenti di contrastanti di dolore e di rivolta come di stupore e di gratitudine
Il sentimento di dolore sgorga dal ricordo umano delle sofferenze subite da Gesù, fortemente messe in risalto dalla pratica tradizionale della "via crucis", pregata durante la quaresima, confermata nell'ascolto del racconto evangelico di questa domenica.
Um versetto del terzo poema del servo di Jhwh profetizza quanto il Figlio unigento del Padre soffrì per liberarci dalle schiavitù del nostro egoismo: «Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi» (Is 50,6).
Anche il salmo 22 profetizza i patimenti di Gesù: «Si fanno beffe di me quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: "Si rivolga al Signore; lui lo liberi, lo porti in salvo, se davvero lo ama!". Un branco di cani mi circonda, mi accerchia una banda di malfattori; hanno scavato le mie mani e i miei piedi. Posso contare tutte le mie ossa. Si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte» (Sal 22,8-9.17-19).
Il sentimento di rivolta nasce dal penultimo grido di Gesù crocifisso: «Mio Dio, mio Dio, peché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34).
È l'indignazione di fronte alla terribile sensazione di totale assenza divina quando il male dell'egoismo umano si impone con tutta la sua forza, facendoci sentire impotenti. Sono ancora troppe le azioni umane malvagie, ingiuste, divisive, che fissano il passato della storia e incidono in modo preoccupante il suo futuro.
Al grido di Gesù, detto pregando il salmo 22,1, associamo il grido disperato delle vittime innocenti di tutte le guerre in corso e della violenza causata dal terrorismo dei trafficanti di droga e di armi e dall'integralismo religioso e politico.
A quel grido di Gesù fa eco la domanda: «Perché tu, o Dio, sembri essere assente in tutti questi fatti di violenza, di ingiustizia, di abuso della dignità dell'altro?».
Il sentimento di gratitudine sgorga dallo sguardo di fede su quell'evento drammatico e crudele della passione e morte di Gesù.
Solo Dio Padre, unito al Figlio nello Spirito Santo, può trasformare un fatto ingiusto e violento in evento di salvezza per tutta l'umanità e per tutto il nostro pianeta, inserito nell'immensità dell'universo creato.
L'inno Cristologico della lettera ai Filippesi ci fa contemplare la radicalità dell'abbassamento e dell'umiliazione di Gesù «fino alla morte e alla morte di croce», facendoci riconoscere con gratitudine che quella morte di croce fu la pasqua necessaria (passaggio) affinché «ogni lingua proclami: "Gesù Cristo è il Signore!", a gloria di Dio Padre» (cfr. Fil 2,6-11).
Proclamare la signoria di Cristo nella nostra vita, facendo nostro questo meraviglioso inno, significa immedesimarci nel centurione romano che, nel vangelo di Marco professa la sua fede nella divinità dell'uomo Gesù, morto crocifisso: «Davvero quest'uomo era il Figlio di Dio!» (Mc 15,39b).
Il sentimento di stupore nasce dall'ultimo grido di Gesù, le cui parole non sono attestate nei vangeli di Marco e Matteo, ma riferite dall'evangelista Luca: «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito» (Lc 23,46 = Sal 30,6). La forza distruttiva dell'egoismo umano non riuscì a sconfiggere la forza unitiva della comunione di Gesù con il Padre, mantenuta fino all'ultimo grudo della sua esistenza terrena.
Questi sentimenti contrastanti ci fanno riflettere sui due significati dell'abbandono.
"Abbandono" inteso come un appello alla responsabilità umana
I sentimenti di dolore e di rivolta di fronte all'evento della passione e morte di Gesù ci fanno riflettere sull'ira divina, che corrisponde alla sofferta pazienza del Padre, unito al Figlio nello Spirito Santo, di fronte alle azzardate scelte egoistiche dell'umanità, che strutturano un sistema malvagio di male, non rispettoso della dignità dell'altro.
Diventa legittimo pensare l'apparente distanziarsi divino dalle disastrose e disumane situazioni di guerra, di ingiustizia sociale e dai paesaggi degradati e inquinati dei sistemi di biodiversità naturale. Dov'è Dio in questo mondo che sembra andare sempre più alla deriva? Gesù stesso, vittima dell'egoismo umano, fu consegnato da Giuda Iscariota alle autorità giudaiche del Sinedrio (cfr. Mc 14,17; 43-51): fu consegnato a Pilato da parte delle autorità giudaiche (cfr. Mc 14,1); fu consegnato alla folla da parte di Pilato, per essere crocifisso (cfr. Mc 14,15): sembra abbandonato a se stesso, abbandonato dal Padre, senza nessuna protezione. Gesù vive nella sua corporeità vivente il dramma di essere vittima della malvagità umana.
La sensazione dell'abbandono divino nelle situazioni di male è un appello alla responsabilità umana che ci fa ricordare l'ammonimento fatto a Caino in Gn 4,7b: «Se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta», come una belva feroce pronta a sbranarti! Dio rispetta la nostra libertà per farci sentire la gravità delle conseguenze disastrose dei nostri peccati. Ne soffriamo le conseguenze per renderci contro di non farcela da soli a trasformare in opportunità di vita nuova e di riconciliazione le tragiche situazioni di divisione e di morte che provochiamo con la forza del nostro egoismo.
"Abbandono" inteso come consegna fiduciosa alla comunione con il Padre
I sentimenti di gratitudine e di stupore di fronte all'evento della passione e morte di Gesù ci fanno riflettere sulla forza vincitrice della comunione. Gesù resistette fino all'ultimo mantenendosi fedele alla sua comunione con Dio Padre. Gesù perseverò consegnato al Padre «facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce» (Fil 2,8b); «imparò l'obbedienza da ciò che patì» (Eb 5,8).
La consegna fiduciosa di Gesù alla sua comunione con il Padre si basava nel suo legame orante con Parola di Dio. Gesù si identifica perfettamente con il servo di Jhwh che si dispone in atteggiamento di ascolto: «Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro» (Is 50,4b-5).
Le grida di Gesù crocifisso sono parole di salmi!
Alla consegna crudele di Gesù, effettuata da Giuda Iscariota, dalle autorità giudaiche e da Pilato, egli risponde con la sua consegna fiduciosa a Dio Padre, identificandosi con il servo di Jhwh che dice «Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso» (Is 50,7).
E Dio Padre, con la forza dello Spirito Santo, ci riconsegna Gesù nella sua gloria di Cristo risuscitato, trasformando lo scandalo e la stoltezza della croce in un evento di salvezza per tutta l'umanità, per ciascuno di noi.
Vivere consegnati a Cristo affinché lo Spirito Santo trasformi le nostre croci in opportunità di conversione e di vita nuova per noi e per gli altri.
La settimana santa diventi allora un tempo di grazia per rinnovare maggiormente la nostra scelta di centralizzare tutta na nostra esistenza in Gesù Cristo morto e resuscitato.
Se l'ancora di salvezza di Gesù fu la sua comunione con Dio Padre nell'ora della grande prova della sua morte di croce, la nostra comunione con Gesù Cristo diventi la scelta più importante.
Vogliamo invocare incessantemente lo Spirito Santo per riconoscere che Gesù Cristo è il Signore della nostra vita e della storia di questo mondo.
Vogliamo credere, come il centurione romano, che, per Cristo, con Cristo e in Cristo, ogni situazione di croce non si riduce ad un fatto irreversibile di morte e di male, ma può essere trasformata in opportunità di vita nuova, di rinascita, di conversione, con la stessa forza dello Spirito Santo che vivificò il corpo crocifisso di Gesù deposto nel sepolcro.