Omelia (28-03-2024) |
diac. Vito Calella |
Fare la comunione con il corpo e il sangue di Cristo è servire La tradizionale cena pasquale per ricordare la liberazione dalla schiavitù in Egitto Ogni anno ascoltiamo le indicazioni del libro dell'Esodo per celebrare la cena pasquale nell'ambiente familiare del popolo di Israele. Questa festa aveva lo scopo di mantenere vivo il ricordo della liberazione del popolo dalla schiavitù in Egitto, avvenuta dopo la piaga della morte dei primogeniti tra gli egiziani e gli animali. Durante quel sacro banchetto, secondo il rito rispettato ancora oggi, veniva mangiato l'agnello arrosto, immolato come sacrificio di comunione, insieme a pane azzimo ed erbe amare. Il calice di vino veniva condiviso quattro volte, accompagnato da preghiere di lode e benedizione. Gesù istituì l'Eucaristia nel contesto della cena pasquale ebraica Nel contesto di quella cena pasquale, celebrata da Gesù insieme ai suoi discepoli, egli pronunciò le parole sacre che identificarono il suo corpo nei pani azzimi e nel suo sangue, versato per la salvezza dell'intera umanità, nella quarta e ultima condivisione della tazza di vino. Lui stesso divenne l'unico e definitivo «agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29.36). Il pane e il vino sono per noi memoriale della sua morte sulla croce e della sua risurrezione. Il fatto che Gesù sia stato risuscitato ha trasformato quell'evento scandaloso e crudele della morte di croce nella più grande rivelazione della gratuità dell'amore divino che dona la salvezza all'intera umanità. L'apostolo Paolo fu il primo a testimoniarel'istituzione dell'Eucaristia L'apostolo Paolo, scrivendo la sua prima lettera ai Corinzi, ci offre la più antica testimonianza dell'istituzione dell'Eucaristia, tra i libri sacri del Nuovo Testamento. Il ritorno di una spiritualità di rispetto devoto e puritano per l'Eucaristia Oggi la spiritualità dei movimenti ecclesiali, soprattutto quello del rinnovamento carismatico cattolico, promuove l'esperienza del culto del Santissimo Sacramento, che si esalta nella bellezza dell'ostensorio dorato, posto sopra l'altare, in mezzo alle candele accese, solennemente incensato con turiboli preziosi. Sono bellissimi i canti che accompagnano la "passeggiata eucaristica" tra la gente. Tutti si inginocchiano, molti si emozionano, e tutto si svolge all'interno della chiesa-tempio. Nel momento del rito della comunione eucaristica, aumenta il numero delle persone che si inginocchiano e si sentono indegne di ricevere con le mani il corpo e il sangue di Cristo nelle specie consacrate del pane e del vino. La comunione al Corpo e al Sangue di Cristo non si esaurisce con la celebrazione liturgica all'interno della Chiesa, perché i padri del Concilio Ecumenico Vaticano II ci insegnano che «la Liturgia è il culmone verso cui tende l'azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua virtù» (SC n. 10). La parola di Dio, attraverso il libro dell'Esodo, ci ricorda che i membri delle famiglie del popolo d'Israele dovevano mangiare l'agnello arrostito, i pani azzimi e le erbe amare «con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore!» (Es 12,11). Gesù stesso «si alzò da tavola, si tolse il mantello, prese un asciugamano e se lo cinse attorno ai fianchi. Versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei suoi discepoli, asciugandoli con l'asciugatoio di cui si era cinto» (Gv 13,5). La cena pasquale, dove egli offrì se stesso con il suo corpo e il suo sangue nelle specie dei pani azzimi e del calice del vino, si è arricchita con questo gesto radicale di abbassamento e di umiliazione di Gesù, per insegnare che il modo migliore di vivere la comunione eucaristica è questo: «Se io, Maestro e Signore, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato un esempio affinché facciate come ho fatto io» (Gv 13,14-15). Il significato del fare la comunione in piedi: siamo cristiani pellegrini della fede, speranza e carità La celebrazione eucaristica e la comunione con il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo rende noi cristiani dei chiamati a realizzare il Regno di Dio nelle nostre relazioni umane, fuori della chiesa-tempio, nell'ambiente della nostra vita familiare, del lavoro quotidiano, nel contesto sociale e culturale in cui viviamo. Facciamo la comunione con il corpo e il sangue di Cristo perché siamo chiamati a testimoniare la fede, la speranza e la gratuità dell'amore divino nel mondo in cui viviamo! Il modo migliore per entrare in comunione con il Corpo e il Sangue di Cristo è quello secondo lo spirito della riforma liturgica del Concilio Vaticano II: stando in atteggiamento pellegrino di "cammino", di persone disposte ad offrire, come Gesù, la nostra corporeità vivente, tempio vivo dello Spirito Santo, affinché possiamo essere segno della luce di Cristo risuscitato sulle strade del mondo. Assumere la diaconia, cioè il servizio, come nostra testimonianza di vita cristiana Non c'è dubbio che il modo migliore per rispettare la presenza vera e viva di Gesù Cristo nell'Eucaristia è trovare in essa la forza per servire con gioia fuori della chiesa-tempio. Servire significa promuovere una familiarità accogliente Recuperiamo il valore delle relazioni familiari, avendo un atteggiamento accogliente verso il prossimo. Il pasto pasquale era una festa che riuniva tutti i membri della famiglia; Ma ogni famiglia non deve chiudersi in se stessa: «Se la famiglia fosse troppo piccola per un agnello, si unirà al vicino, il più prossimo alla sua casa, secondo il numero delle persone» (Es 12,3a). Servire è il primato dell'abbassamento e della libera donazione La reazione di Pietro al gesto di Gesù di lavare i piedi a tutti i discepoli ci rivela la difficoltà di assumere un atteggiamento di umiltà e di gratuità quando siamo chiamati a svolgere un compito di coordinamento, di animazione e di leadership all'interno della nostra comunità. Ma questo è ciò che Gesù ci chiede, sulla base dell'esempio che Lui stesso ci ha lasciato. Mentre gli apostoli continuavano a discutere tra loro su chi dovesse essere il primo, Gesù diede l'esempio. Come ci racconta l'evangelista Luca, questo dibattito continuò ad animare il gruppo dei dodici apostoli anche nel contesto di quel pasto pasquale. Gesù disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,25-27). Servire significa condividere ciò che abbiamo e siamo con i più poveri e sofferenti La prima testimonianza dell'istituzione dell'Eucaristia, riportata dall'apostolo Paolo nella prima lettera ai Corinzi, nacque dalla difficoltà di relazione tra ricchi e poveri di quella comunità. Ciò divenne un vero scandalo. L'apostolo Paolo udì che quando i cristiani di Corinto si riunivano nelle loro case per celebrare l'Eucaristia, ciascuno si affrettava a consumare la propria cena, mentre alcuni soffrivano la fame e altri addirittura si ubriacavano (cfr 1Cor 11,21). I cristiani ricchi venivano con cibo e bevande e non condividevano nulla con i loro fratelli e sorelle più poveri. L'apostolo Paolo si adirò per questa divisione: «Non avete una casa dove mangiare e bere? Oppure disprezzate la Chiesa di Dio e volete svergognare coloro che non hanno nulla?» (1Cor 11,22a). Comunicare con il corpo e il sangue di Cristo nella celebrazione eucaristica, senza rispettare gli altri, soprattutto i più poveri, che sono membra importanti del corpo ecclesiastico, è come «mangiare e bere la propria condanna». (1Cor 11,29). Chiediamo al Padre la grazia di offrire sull'altare, insieme al corpo e al sangue di Cristo, la nostra gioia di servire sempre gratuitamente, lavando i piedi degli altri, anche di quelli più sofferenti, felici di aver fatto questo per Cristo, con Cristo e in Cristo. |