Omelia (29-03-2024) |
diac. Vito Calella |
Accoglienza, formazione, missione Accolti dall'Amato, siamo chiamati ad accoglierci gli uni gli altri nella Chiesa L'evento della passione e morte di Gesù ci lascia profondamente grati perché Dio Padre, unito al suo Figlio, l'Amato, nell'ora più difficile della croce, grazie alla forza unificante dello Spirito Santo, ci accoglie con tutto il peso dei nostri peccati, rispettando la fragilità della nostra povertà umana. Il mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio raggiunse il culmine del vuoto e dell'umiliazione quando Gesù fu consegnato alle autorità ebraiche, affrontò il processo e la condanna a morte e fu inchiodato sulla croce. Lo svuotamento totale di sé si è concluso con l'accoglienza della nostra condizione umana. Nel quarto canto del Servo di Yahweh contempliamo il nostro essere accolti con tutto il peso dei nostri peccati. «Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,4-5). Contemplando Gesù crocifisso, ci sentiamo accolti nella radicale condizione della nostra povertà umana, come è detto attraverso le parole di Dio nella lettera agli Ebrei: «Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato» (Eb 4,15). Per quanto grandi siano i nostri peccati e la nostra infedeltà al progetto che Dio ha su ciascuno di noi, siamo già stati amati, siamo sempre accolti nel cuore della Santissima Trinità. Colpisce vedere nel vangelo di Giovanni il contrasto tra la durezza del cuore di Giuda Iscariota, dei soldati e delle guardie dei sommi sacerdoti e dei farisei e la fermezza di Gesù, che «uscì loro incontro» (Gv 18,4), non fuggì, ma mostrò la disponibilità a donarsi per accogliere e portare dentro di sé la salvezza di tutti. Gesù ha detto tre volte: «Sono io» (Gv 18,5.6.8). Nel linguaggio simbolico dell'evangelista, «Sono io/Io sono» indica la rivelazione del nome divino fatta nel libro di Esodo 3,15: «Io sono colui che sono» cioè, «Ci sto che ci sto veramente!». Non importa quanto sia grande il nostro peccato! Nonostante la durezza del nostro cuore e della nostra mente e la difficoltà della conversione, siamo accolti da Dio, siamo peccatori già perdonati. La Santissima Trinità non ci abbandona, attende che scopriamo la sua misericordia e fedeltà nei nostri confronti. Siamo accolti dall'Amato, Gesù Cristo, che morì sulla croce «per redimere il peccato di tutti e intercedere per i colpevoli» (Is 53,12). Dunque, siamo chiamati a mettere in pratica l'invito ad accoglierci vicendevolmente facendo questa esperienza nella dinamica delle nostre relazioni all'interno della comunità cristiana e negli ambienti della nostra vita quotidiana. Solo l'evangelista Giovanni riferisce che ai piedi della croce c'erano il discepolo amato e sua madre. Prima di morire, Gesù invita i due ad accogliersi a vicenda: «Gesù, vedendo sua madre e, accanto a lei, il discepolo che amava, disse a sua madre: "Donna, ecco tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "questa è tua madre!" Da quel momento il discepolo l'accolse con sé» (Gv 19,26-27). Maria e il discepolo amato rappresentano la comunità cristiana chiamata ad essere accogliente, aperta verso tutti, specialmente verso quanti sono gravati da tanti dolori e sofferenze fisiche, morali e spirituali. Cerchiamo di essere strumenti della grazia divina, assumendo uno stile di vita accogliente, in nome della gratuità dell'amore rivelata nell'evento della passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo. Formati dalla ricerca della verità, siamo chiamati a formarci vicendevolmente nella pratica dell'obbedienza alla volontà di Dio Padre. Nel racconto della passione e morte di Gesù secondo l'evangelista Giovanni, nell'interrogatorio che il sommo sacerdote Anna fece davanti a Gesù, l'attenzione viene richiamata sul tema degli insegnamenti impartiti dal nostro Maestro durante tutta la sua missione pubblica: «Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: "Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto"» (Gv 18,19-21). E quando fu condotto davanti al procuratore romano Pilato, Gesù si dichiarò re e pronunciò parole misteriose sulla "verità": «Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: "Sei tu il re dei Giudei?". Gesù rispose: "Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?". Pilato disse: "Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?". Rispose Gesù: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù". Allora Pilato gli disse: "Dunque tu sei re?". Rispose Gesù: "Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce". Gli dice Pilato: "Che cos'è la verità? "» (Gv 18,33-38a). Il procuratore romano fece questa domanda, senza attendere la risposta di Gesù. Pilato non era interessato a sentire la risposta, perché lasciò nuovamente Gesù e andò incontro ai Giudei per dire loro che «non trovò alcuna colpa in Gesù» (Gv 18,38b). La domanda lasciata aperta da Pilato diventa una domanda aperta per ciascuno di noi: «Qual è la verità, di cui Gesù è venuto a rendere testimonianza?». La verità è l'insieme dei suoi insegnamenti, accompagnati dai miracoli, la cui testimonianza apostolica è riassunta nei libri del Nuovo Testamento, principalmente nei quattro vangeli. Siamo chiamati a formarci nella ricerca della verità «ascoltando la sua voce» (Gv 18,37b), sapendo che l'incontro orante con gli insegnamenti di Gesù ci porta ad apprendere lo stile di vita dell'obbedienza alla volontà di Dio Padre. L'autore della lettera agli Ebrei, contemplando, come facciamo oggi, la passione di Gesù e la sua morte, arriva a dare questa testimonianza della verità: «Pur essendo Figlio di Dio, Gesù imparò cosa significa l'obbedienza a DioPadre da ciò che patì» (Eb 5,8). L'obbedienza, infatti, fu la scelta fondamentale di Gesù fin dall'età di dodici anni, quando era ancora adolescente, disse a Maria e Giuseppe: «Non sapevate che io devo stare nelle cose del Padre mio?» (Luca 2:49). Dunque, formiamoci reciprocamente nella pratica dell'obbedienza alla volontà di Dio Padre, contemplando la fedeltà e la resistenza di Gesù nella comunione con Dio Padre fino all'ultimo respiro della sua vita. Lo facciamo ripetendo le ultime parole di Gesù gridate prima di morire crocifisso: «O Padre, nelle tue mani consegno il mio Spirito!» (Sal 30,6.36 = Lc 23,46). L'offerta più grande che Gesù ha fatto al Padre, quando morì crocifisso fu la consegna dello Spirito, cioè, la consegna fiduciosa della sua permanenza nella comunione con Dio Padre, anche nel momento in cui la sua missione sembrava essere completamente fallita. Inviati in missione per annunciare a tutti Gesù crocifisso! Con l'apostolo Paolo, vogliamo dire oggi: «Noi proclamiamo Cristo crocifisso, il quale per i giudei è scandalo e per i pagani è stoltezza, ma per i chiamati, sia giudei che greci, è Cristo, la potenza di Dio e la sapienza di Dio» (1Cor 1,23-24). Le forze del male e l'egoismo umano non hanno vinto l'obbedienza di Gesù al Padre e la sua perseveranza nella forza vitale ed eterna della comunione. Le ultime parole di Gesù riportate nel Vangelo di Giovanni sono queste: «Tutto è compiuto» (Gv 19,30). La morte in croce non è la fine di tutto! La comunione fino alla fine con il Padre è la forza vitale dello Spirito Santo, capace di trasformare la croce di Gesù nel nuovo e definitivo albero di vita per tutta l'umanità, perché Gesù Cristo, «reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,9). |